The Italian Dream: il nuovo slow travel – VIDEO

15 Febbraio 2015
Marta Franceschini
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Si chiama Slow Travel, ed è parente stretto dal movimento internazionale dello Slow Food, fondato da Carlo Petrini nel 1986. Da allora, il manifesto culturale per “la difesa e il diritto al Piacere” ha conquistato sostenitori e rappresentanze in 150 paesi del mondo, ed è diventato un punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che credono nella lentezza come valore, in contrapposizione a un modello di vita che invece fa della corsa e della fretta la sua filosofia portante. 

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Invece del mordi e fuggi, dunque, una ricerca consapevole e attenta di sapori tradizionali, di ingredienti sani, di coltivazioni sostenibili e rispettose dell’ambiente, nella convinzione che le scelte alimentari influiscano non solo sulla salute individuale, ma sull’assetto globale del pianeta. Responsabilità e armonia sono le parole chiave di un movimento che ha l’audacia di andare controcorrente, e di sfidare l’inerzia schiacciante di masse ignare e inconsapevoli.

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Lo Slow Travel si muove sulla stessa lunghezza d’onda, condividendo con la filosofia di Petrini principi e valori. Il primo passo è riconoscere i rischi e gli inganni del turismo di massa, un fenomeno relativamente recente, ma in costante crescita esponenziale.

Vale la pena raccontare la sua breve storia. Quando all’inizio degli anni ’70 gruppi sempre più numerosi di occidentali cominciarono a scegliere come mete turistiche i paesi del cosiddetto terzo mondo, furono in molti a salutare l’evento come manna dal cielo: sembrava la soluzione ideale e inaspettata alla disparità tra nord e sud. L’occidente ricco ed evoluto avrebbe portato la sua ricchezza – e la sua civiltà superiore – all’oriente povero e sottosviluppato, contribuendo così alla ridistribuzione dei beni e favorendo un felice riequilibrio. Ma a metà degli anni ’80 cominciano a suonare i primi campanelli d’allarme. L’Organizzazione Mondiale del Turismo (WTO) rende pubblica una serie di dati statistici che dipingono un quadro totalmente diverso dalle aspettative.

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Si scopre che questa nuova forma di turismo, che ne frattempo si è consacrata come fenomeno di massa, sembra provocare più danni che vantaggi.

Innanzitutto a livello economico, visto che le grosse strutture alberghiere e d’accoglienza sorte per soddisfarlo sono gestite dai colossi del settore, bypassando completamente la popolazione locale che, al contrario, ci lavora sfruttata e sottopagata. Poi, il turismo di massa favorisce il rafforzamento degli stereotipi e la banalizzazione delle culture tradizionali, che sono costrette a svendersi pur di accontentare il turista.

L’artigianato locale viene trasformato in gadgets e souvenirs, così come l’arte e le ricchezze naturali dei paesi visitati. Per come sono organizzati, i tour-pakage non solo non favoriscono lo scambio culturale, ma sembrano addirittura impedire l’incontro autentico con le popolazioni autoctone. Queste ultime a loro volta si abituano a vedere gli stranieri in transito come prede potenziali, non certo da conoscere, ma da ingannare e circuire. Per obbedire agli standard dell’occidente le strutture turistiche offrono piscine, prati all’inglese e aria condizionata, spesso in zone desertiche o con gravi problemi di approvvigionamento dell’acqua, provocando sentimenti di alienazione e rabbia tra gli abitanti. Per non parlare dell’inquinamento atmosferico, acustico e elettromagnetico degli aerei di linea. Infine, a chiudere tristemente l’elenco delle nefaste conseguenze del turismo di massa, citiamo lo sfruttamento sessuale, in particolare minorile, terzo traffico illegale per ordine di importanza dopo droga e armi. Ne sono interessati 3 milioni di minori all’anno, la stragrande maggioranza dei quali non sopravvive all’esperienza. Insomma, da manna a catastrofe.

Lo Slow Travel si oppone proprio a questo modello di viaggio, per offrire un’alternativa. Innanzitutto piccoli gruppi di massimo 10-12 persone. Invece delle maratone che toccano dieci tappe in cinque giorni, un’intera settimana spesa nello stesso posto, magari un piccolo borgo dimenticato dai grandi tour operator, ma tuttavia pieno di fascino e meraviglie. Passeggiate a piedi o a cavallo immersi nella natura, corsi di lingua o di cucina, itinerari culturali sulle orme di personaggi storici, strade romane sopravvissute a due millenni di incurie, storie di battaglie, di guerra e di pace. Escursioni all’alba per avvistare volpi e caprioli. Raccolta di funghi e erbe selvatiche, guidati da chi tra quei boschi e su quei sentieri c’è nato e cresciuto. Serata passate a giocare a carte nel bar del paese, o davanti al camino ad ascoltare le storie dei nonni e gustare la cena fatta in casa da una famiglia locale.

Un modo diverso di viaggiare, fatto di lentezza e attenzione. Di ricerca del vero, di ascolto e di rispetto. Di piccole cose che vincono sui giganti, non perché sono più forti, ma perché sono migliori. La differenza tra guardare un paese da un vetro, o viverci dentro. La distanza che separa un turista da un viaggiatore. A noi è sembrata un’idea così bella, che ci è venuta la voglia di tentare di farla in Italia.

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