Kierkegaard spiegò la psicologia dei bulli e dei troll nel 1847
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Soren Kierkegaard parlava della psicologia del bullismo già nel 1847.
Nel suo Diario annotava tutte le sensazioni evocate dall’analisi degli individui a lui contemporanei : i sentimenti più ricorrenti nell’animo dell’uomo a quel tempo erano angoscia e malinconia. Il filosofo, padre dell’esistenzialismo, credeva nel potere dell’uomo di crearsi il proprio codice di valori che andava poi a intersecarsi con i valori dell’altro, in una combinazione di dipendenza gli uni dagli altri. Secondo Kierkegaard la vita umana è connotata da un perenne stato di angoscia che viene poi accuratamente dissimulato:
Fin dall’infanzia sono preda della forza di un’orribile malinconia, la cui profondità trova la sua vera espressione nella corrispondente capacità di nasconderla sotto apparente serenità e voglia di vivere
Ognuno gestisce a suo modo la malinconia , chi dando l’apparenza di esser felice, chi invece sentendosi superiore a danno degli altri, vittime appunto, degli atti di bullismo.
C’è una forma di invidia, di cui ho spesso visto esempi, per cui un individuo cerca di ottenere qualcosa attraverso atti di bullismo. Se, per esempio, entro in un luogo dove molti uomini sono riuniti, accade spesso che l’uno o l’altro “impugni le armi” contro di me cominciando a ridere; facendosi presumibilmente strumento della pubblica opinione. Ma ecco, se poi faccio un’osservazione casuale a lui, quella stessa persona diventa infinitamente flessibile e servizievole. Con ciò si dimostra che colui che arriva a considerarmi qualcosa di più grande di lui e le cui capacità lo sono altrettanto da poter essere ” ammesso” alla mia grandezza si dimostrerà mansueto, in caso contrario la sua esclusione lo porterà a deridermi. Se diventa parte della mia grandezza ne diventa promotore.