Elliot Rodger, il killer vergine che dichiarò guerra alle donne
Prima ogni donna faceva coppia con un uomo e tutto andava bene (colonna a sinistra). Poi le donne hanno scelto pochi uomini e gli altri sono rimasti soli (colonna centrale). Ma se le donne spariscono (colonna a destra) sparisce il problema.
Sognava un mondo senza sesso Elliot Rodger, e con “punizioni per chi lo fa”; sognava di “internare le donne nei lager dove farle morire di fame” e un “fiume di sangue”. E’ tutto lì, nero su bianco, nel dossier di 130 pagine inviato via mail alla madre poco prima dell’inizio del massacro, nello schema pubblicato su facebook, nel video postato su you tube: è li, sotto gli occhi di tutti, la follia del 22 enne californiano figlio dell’aiuto regista di The Hunger Games, Peter Rodger, e autore della cosiddetta “strage di Isla Vista” costata la vita a 6 persone e conclusasi con la morte del “killer vergine”. Non aveva mai avuto una ragazza, Elliot; lo racconta in questo doloroso e folle manifesto in cui c’è tutta la sua vita: dal trauma per la separazione dei genitori quando aveva 7 anni a quelli dovuti ai continui cambi di casa e di scuola; dalla solitudine al difficile rapporto con la matrigna; dalla strana abitudine, presa da bambino, di tingersi i capelli di biondo alla mancanza di amici fino all’ossessione maniacale di essere “cool”. Ma non ci riusciva, Elliot, almeno non secondo lui: aveva, come si legge dalle pagine del suo lucido delirio, la costante sensazione di essere invisibile, soprattutto agli occhi delle ragazze, tanto che non ne aveva mai avuta una, non ne aveva mai nemmeno baciata una “Dopo due anni di college – dice nel video di 6 minuti diffuso in rete – sono ancora vergine e non ho neanche mai baciato una ragazza”. “Tutte mi hanno rifiutato […], concedono affetto e sesso agli altri uomini ma non a me”; eppure si definisce un “gentiluomo eccezionale”. Così, mentre trascorreva le sue giornate in solitudine davanti ai videogames, divorato dal desiderio di avere una ragazza, l’odio cresceva dentro di lui e con esso le manie: la lotteria, il razzismo, il disprezzo per tutta l’umanità e, contemporaneamente, la voglia di piacere a quest umanità indifferente. E così aveva progettato il suo piano d’attacco al mondo: prima il poligono, dove si recava per allenarsi; poi l’acquisto di ben 3 pistole (due Sig Sauer e una Glock), poiché aveva paura che una si potesse inceppare, e di 400 proiettili; poi la scelta della data, il 26 aprile, non rispettata, così come l’idea originaria di far fuori anche la matrigna ed il fratellastro; infine la sfida alla sorte e il grido d’aiuto: l’invio di quella mail alla madre, Li Chin, che non la leggerà prima delle 21.17. Troppo tardi per fermare la strage: la donna, allertato il padre del ragazzo e le autorità,si è precipitata ad Isla Vista, cittadina californiana nei pressi di Santa Barbara, quando ormai il raid era iniziato. Il ragazzo aveva già ucciso i suoi 3 coinquilini, tanto per cominciare, per liberare un po’ di spazio: ne aveva bisogno, scriveva, per creare “una camera delle torture”.
Poi si è messo alla guida di una Bmw nera, a bordo della quale ha aperto il fuoco su tutti quelli che gli capitavano sotto tiro: in 3 sono morti e molti passanti sono rimasti feriti. A fermarlo lo scontro con un auto parcheggiata, al termine di un inseguimento con la polizia: il giovane è stato trovato morto, freddato da un colpo di arma da fuoco alla testa, non si sa se sparato da se stesso o dagli agenti