My Generation: perchè il cantante degli “Ultra” ora fa il geometra

26 Ottobre 2013
Chiara Amendola
Per leggere questo articolo ti servono: 2minuti

UltraBandMagUna carriera che potremmo descrivere in meno di 500 battute, tanto breve che se provaste a googlare il loro nome di certo non apparirebbe in cima ai risultati di ricerca.

Gli Ultra avevano tutto e niente di quella macchina da soldi che erano le boy band negli anni novanta.

Il look da ragazzotti in salute dalle chiome phonate, perfetti per i poster da parete, li associava al panorama dei gruppi “creati a tavolino”, quelli che lobotizzavano i cervelli delle teenager di tutto il mondo e facevano guadagnare capitali spropositati alle etichette discografiche.

Anche i cori in falsetto e le melodie dai testi melensi andavano a nozze con quanto c’era in circolazione negli ultimi 90’s. Di contro i quattro del Buckhinghamshire avevano una storia completamente diversa dai loro simili.

L’idea di formare una band era nata spontaneamente tra i banchi universitari. Sapevano cosa fare con una chitarra ed un basso ed avevano dei gusti musicali inaspettatamente dignitosi, tanto che il loro nome fu ispirato da uno dei dischi di maggior successo dei Depeche Mode.

Mica Male.

Tratto distintivo fondamentale che li dissociava da tutti gli altri: nelle esibizioni restavano al loro posto, senza accennare minimamente a raccapriccianti e femminei passi di danza.

A notarli, non a caso, fu un musicista del calibro di Ian Stanley dei Tears for Fears e non uno dei tanti geni del marketing.

Le 11 tracce di quel disco che incisero nel 1999 con la East West, etichetta indipendente della Warner, erano anche sufficientemente orecchiabili, e sfido qualunque essere pensante vissuto in quegli anni a non aver intonato almeno una volta la hit “Say it Once”. Altra storia per il secondo album  venuto alla luce circa sei anni dopo e considerato dai critici come uno dei maggiori epic fail di sempre.

Insomma gli Ultra erano quei soggetti borderline che potevano funzionare.

Ma non hanno funzionato.

Un discreto successo in Asia e in Italia (ecco perché le uniche pagine a loro dedicate,  ed ancora esistenti nella web sfera, sono nella nostra lingua) e poi addio.

I quattro “skipper”, metà  boy e metà band, non sono riusciti a fare cassa ed il progetto è arenato. Ma cosa è accaduto dopo quella parentesi?

Triste a dirsi, ma non è successo nulla. Dopo lunghe attese nella speranza che qualcuno li scritturasse per un nuovo contratto, la band si è ufficialmente sciolta.

James Hearn, il biondino con le labbra da trota (l’unico di cui ricordiamo i tratti somatici, l’unico probabilmente famoso dei quattro) rappresenta l’epilogo più imbarazzante della storia della musica. E’ tornato a studiare ed oggi fa il geometra (anche se qualche anno fa lo si vedeva ancora bazzicare su Myspace).

james hearn 20014

Jon , Michael e Nick non si sono arresi, e ostinatamente hanno continuato a fallire.

Formarono una nuova band, i Ryder, che ebbe vita ancora più “rapida” della precedente. Poi la rivelazione, quella di abbandonare le scene. Oggi hanno una etichetta discografica, la Goldust, che ha prodotto  artisti come Bryan Adams, Kylie Minogue, Natasha Bedingfield ed anche title track per il cinema.

Assodato ciò non possiamo che dedicare un ultimo momento di gloria alla sfigata band ricordandola così:


//

SOSTIENI IL PROGETTO!
Sostienici
Quanto vale per te l’informazione indipendente e di qualità?
SOSTIENICI