L’inadeguatezza di essere una figlia femmina "borderline" a Napoli (storia di una dote)
Recentemente ho scoperto di avere una “dote”. Si esattamente ciò che ho detto. Qualcosa di molto vicino a quell’arcaica ed obsoleta pratica, sancita dal diritto romano, che aveva lo scopo di indennizzare la donna una volta concessa in sposa. Parliamo di una questione inquietantemente seria, un’istituzione venuta a mancare solo con il nuovo diritto di famiglia nel vicinissimo 1975, divenuta un’usanza così ben radicata, che è ancora vividamente presente oggi, soprattutto al Sud, dove il sacro rituale di realizzazione del “corredo” rappresenta lo scopo principale nella prima parte della vita di alcune donne. Quelle, per intenderci, che fanno a gara per arrivare entro gli “enta” con un marito col posto fisso, un figlio già all’asilo e due gemelli parcheggiati nell’utero.
Rewind – In passato il matrimonio era considerato come unico destino sociale possibile per una donna che non avesse attitudine alla vita conventuale. Nel complesso della dote, il corredo, oltre ad essere un obbligo per la sposa, era l’elemento fondamentale per presentarsi bene ai nuovi parenti e a tutta la comunità. C’erano addirittura delle linee guida da seguire. Doveva essere composto ad esempio da svariati pezzi per ogni elemento, generalmente 12.
Mia madre si è fermata a tre. Qui la genesi della storia.
Credo che il primo segnale che il mio progetto di vita fosse diverso dal suo, in cui incarnavo una moglie gravida con la passione per il cake design, lo abbia percepito durante la mia adolescenza, quando ha scoperto la mia promiscuità nella perenne indecisione su quale Backstreet boy preferissi tra Brian Littrell e Nick Carter. E’ probabilmente in quel momento che la marcia esasperata verso l’acquisto di lenzuola e strofinacci ha registrato il suo primo arresto. Anche il numero considerevole di partner ha sicuramente fatto da sentinella di allarme. Infine la grande rivelazione post laurea, “Mi sono sposata con la cultura”, con inevitabile singletudine e friendzone alla vigilia dei 30 anni.
Eppure le mamme sono capaci di sorprenderti sempre. Mossa da una tacita speranza, la mia non si è mai arresa all’inadeguatezza del suo disegno ed ha continuato ad investire in quello che immagino sia il più grande sogno di una matrona napoletana: vedere sua figlia attraversare la navata della parrocchia del quartiere in un oltraggioso e pacchiano abito bianco mentre gode dell’ammirazione di tutto il vicinato.
Il punto è che io realmente possiedo una dote, ma l’ho scoperto solo a 29 anni.
Non saprei descrivere le mie emozioni quando mia madre mi ha mostrato con un sotteso orgoglio la bistecchiera dal design di ultima generazione che aveva acquistato per me, e nemmeno l’espressione che ho fatto quando mi ha messo davanti la biancheria da letto matrimoniale, il set di asciugamani, la caffettiera col timer e la batteria di pentole in grado di cucinare “qualsiasi pietanza” (che poi vai a ricordarglielo che il massimo del mio intuito da chef si esprime scongelando una zuppa già pronta).
Ho sentito però sicuramente alcuni pezzi del suo cuore frantumarsi quando ho ribadito che non avrei mai imparato a cucinare il Ragù, che non sarei mai stata capace di infornare una pastiera o sventrare un “capitone” per la cena di Natale. Che le uniche cose che apprezzavo realmente in quella fiera della casalinga disperata, che si era improvvisamente palesata dinnanzi ai miei occhi, erano i miei bicchieri di Titty (vinti per giunta con la raccolta punti delle merendine) e l’aggeggio prepara hot dog ricevuto in regalo per un compleanno o qualcosa del genere tanti secoli fa.
Decisamente un colpo basso da parte sua ingannarmi con la scusa del senso del risparmio, limitando per anni il mio shopping in libri e dischi per acquistare a mia insaputa mestoli griffati e contenitori Tupperware che probabilmente non saprò mai aprire.
E’ come un bambino che scarta tantissimi regali trovando nei suoi pacchi sono solo sciarpe, guanti e cappelli
Don’t panic – Posso ammettere che nonostante i miei tentativi di sabotaggio, le battute pungenti ed il continuo ironizzare con i miei amici di whatsapp sull’’ennesimo utensile totalmente sprecato tra le mie mani, mia madre ha preso tutta la questione con filosofia.
Ho capito che l’ipotesi di andare a vivere con un uomo, benché si trattasse del mio migliore amico dichiaratamente omosessuale, rappresentasse per lei un buon compromesso, viste le aspettative riposte su di me e gli “sforzi” per dirottarmi nella sua direzione di vita, ma soprattutto l’avvicinarsi del mio primo anniversario da donna single.
Resta da convincere la nonna 94enne, devota di Papa Giovanni Paolo II, che puntualmente ogni mattina recita flussi di coscienza dinnanzi al suo personale altare votivo, chiedendo la “grazia” per evitare che una nipote “già sfortunata” si trasferisca per lavoro.
L’imbarazzante epilogo di una figlia borderline in una città dove valori e tradizioni valgono più della Costituzione italiana, la rassegnazione di una famiglia che più di una pecora nera ha messo al mondo un mostro tormentato, un freak chic ma comunque, e nonostante tutto, fiero delle sue origini.