BOT, bund e BTP: i lavoretti degli universitari 2.0

24 Aprile 2014
Laura Berlinghieri
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wsHo scoperto che i miei compagni d’università investono in borsa, acquistano e rivendono BOT. E io che pensavo che gli unici modi per fare due soldi a vent’anni fossero dare ripetizioni, portare pizze e vendere gelati…

Erano le dieci e trenta circa, ero seduta in un’aula dell’università in attesa del prof. Essendo arrivata giusto all’ultimo momento, mi ero dovuta sedere nell’unico posto libero, in prima fila, in mezzo a gente che non avevo mai visto. E allora, che fare in queste occasioni se non gli affari altrui?

Si sa, a vent’anni la voglia di iniziare ad arrangiarsi con i propri mezzi è tanta. Fare dei lavoretti per permettersi qualche sfizio, ma anche per pagarsi gli studi. Discorsi di questo genere all’università se ne sentono spesso. Chi dà ripetizioni, chi fa la babysitter, chi lavora in pizzeria. Ma c’è pure chi gioca in borsa.

Dietro di me, tutto un profluvio di disquisizioni finanziarie: BOT, BTP, bund. Investimenti, acquisti, rivendite, speculazioni. Cinquecento euro guadagnati in un mese. «Ma com’è possibile? Cinquecento euro sono tantissimi!». «Caro», risponde con indulgenza quasi caritatevole il Thomas Malthus “de noantri”, «In economia è il momento giusto che conta. Sta tutto lì: tu acquisti, speculi, rivendi. Ma devi sapere quando farlo». Ah, quando l’economia si confonde con la poesia!

Proprio vero, i tempi sono cambiati. Nella nostra vita sono entrati termini fino a pochi anni fa (quasi) ignoti: su tutti quel mostriciattolo dello spread. Ormai lo sa anche la mitica casalinga di Voghera: è il differenziale tra i titoli di stato italiani e i bund tedeschi, il cui andamento, di fondamentale importanza per la vita di ognuno di noi (tutti lo dicono, ma nessuno sa perché), pare essere dettato soltanto dalla fiducia degli investitori. Domandina di una profana: è possibile che una materia come l’economia possa essere condizionata dalla fiducia? Affermazioni che sicuramente farebbero rabbrividire i miei impavidi compagni universitari, divoratori assoluti di debito pubblico. Gente che quando gli chiedi di uscire non ti risponde «No, stasera c’ho il turno al bar», ma piuttosto «Scusami, ma pensavo di speculare sull’economia della Tanzania».

Forse hanno ragione loro. Ma io, con i miei 20 anni, pur essendo nata in un mondo prono ai dettami dell’economia, penso che avrei difficoltà perfino a compilare una schedina. E mi domando: a cosa porta iniziare già a vent’anni a essere dei mostri della borsa?

Proprio vero, i tempi stanno cambiando. Lo si nota tra i bambini: una volta si giocava a pallone (e con orgoglio dico che la mia generazione, per poco, ma ci sta ancora dentro), oggi si passano le ore al computer. Mentre i ragazzi giocano a fare i duri, i seri. Poche serate in pizzeria con gli amici.  Magari qualche ristorante pagato con i soldi rubati ai genitori di straforo, per dimostrarsi già “arrivati”.

E allora sarò un’ingenua,  ma rimango convinta che passare un po’ di tempo al bar, bevendo una birra con gli amici, sia meglio che trascorrerlo in una banca. O davanti a un pc cercando di indovinare come si evolverà l’economia in Tanzania.

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