Intervista a Simone Cristicchi "La mia arte? Tutto merito dei pazzi!"

20 Aprile 2013
Valentina Sanseverino
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SIMONE CRISTICCHI 24 apr roma manifesto WEBRicordi il momento esatto in cui hai scoperto la musica?

Era l’estate dei miei 17 anni ed ero stato rimandato in matematica: avrei passato un intero mese da solo a casa a studiare! Un giorno, rovistando in soffitta per ammazzare la noia, trovai una vecchia chitarra avvolta in un fodero: iniziai a pizzicare le corde e da allora non ho più smesso. Divenne la mia compagna per quella lunga e noiosa estate e poi per tutta la vita.

Il fil rouge che attraversa tutta la tua poetica sembra essere il recupero della memoria perduta, storica e personale, quel piacere un po’ retrò di riannodare i fili di racconti passati, quel nostalgico masochismo che ti spinge a riaprire i vecchi bauli e sfogliare le pagine dei diari di quando eri bambino..

È che i racconti della grande famiglia dell’umanità esercitano un’attrazione irresistibile su di me. Sono un cercatore di storie e qualunque persona – qualunque – è la mia preda: un patrimonio potenzialmente inesauribile di racconti, di aneddoti, di emozioni che va a finire dritto dritto nelle mie canzoni. La mia fonte di ispirazione principale sono i pazzi: quelli con cui, quando ero bambino nel mio quartiere, non parlava nessuno tranne me, quelli dei manicomi da cui ho iniziato le mie ricerche e le mie interviste. E poi gli anziani, la nostra autentica, più preziosa ricchezza, i cui racconti mi hanno aiutato a costruire lo spettacolo teatrale “Li Romani in Russia”..e tutta la gente umile, semplice con cui mi sono fermato a parlare in questi anni in giro per l’Italia. L’arte che nasce da queste storie non è solo intrattenimento ma anche senso civico, senso di appartenenza alla comunità..più che un attore o un musicista mi sento come un idraulico che ripara qualcosa di rotto e lo riporta in vita perché torni ad essere utile.

In questo senso mi viene in mente “Genova brucia”, un tuo pezzo del 2001 che vinse il Premio Amnesty Italia, e che racconta dei fatti accaduti nel corso di quel maledetto G8

“Genova brucia” stata scritta, atti processuali alla mano, proprio con l’intento di rendere quella vergognosa pagina di storia italiana una memoria condivisa e condivisibile: può sembrarti assurdo ma c’è ancora tanta, troppa gente nel nostro paese che non sa cosa sia successo a Genova, cosa sia successo davvero. Una canzone può aiutare, nel suo piccolo, ma lo fa solo quando va a toccare i nervi scoperti di un paese assopito, anestetizzato, come anche “Magazzino 18”, una canzone che aveva tanto da dire che diventerà uno spettacolo teatrale.

SimoneCristicchi ph. CecchettiA proposito di teatro sei considerato uno tra i massimi esponenti italiani del “teatro di narrazione” o “teatro canzone”: come mai hai scelto di dedicarti parallelamente anche a questa forma di espressione? Cosa mancava alla musica che hai trovato nel teatro e viceversa?

In realtà non l’ho mai pensata sotto questo punto di vista. E’ solo che durante i concerti ho iniziato a recitare brevi monologhi e poi questa cosa, senza che me ne rendessi veramente conto, ha iniziato a prendere sempre più piede finché, un passo dopo l’altro, mi sono ritrovato fuori dalla gabbia della canzone, dalla forzatura di quei 3-4 minuti in cui sei costretto ad esprimere le tue sensazioni, e catapultato nel mondo del teatro, un mondo in cui hai tutto il tempo e lo spazio che vuoi per raccontare “veramente” una storia.

Nel tipo approccio al teatro in molti ti hanno paragonato a Gaber..

All’inizio della mia carriera non lo conoscevo molto bene ma quando ho approfondito ho scoperto che la mia attitudine era molto vicina alla sua. Ma i geni sono unici e i cloni ridicoli: per questo ho sempre cercato di seguire una mia strada, perché i maestri sono fatti per essere distrutti o, almeno, contaminati.

Nel corso della tua carriera hai incontrato molti personaggi interessanti. C’è qualcuno che ti ha particolarmente colpito e perché?

Il primo nome che mi viene in mente è quello di Alda Merini: un’artista speciale, una donna dal carisma irresistibile e una persona di una dolcezza e sensibilità sconfinate. Abbiamo stretto un rapporto di amicizia intenso..E poi, bè ce ne sarebbero tanti, ma mi sento di nominare Franco Battiato che, oltre ad essere il musicista immenso che tutti conosciamo, mi ha colpito per la sua semplicità ed affabilità. È una delle persone più gentili che abbia mai conosciuto, checché ne dica l’opinione pubblica che ultimamente lo ha un po’ maltrattato per quella “parolina” con cui ha apostrofato una certa scena politica..

579870 10151407204343579 718212392 nIl 24 Aprile al Parco della Musica di Roma, in occasione del megaevento in cui si esibiranno più di 30 artisti – tra cui i Funk Off e il Coro dei Minatori di Santa Fiora – si apre il tour del tuo quarto album, “Concerto di famiglia”: è un album in cui c’è tutto di te – teatro narrazione, recupero della memoria, umanità dimenticata – intriso di romanticismo moderno, ironia e un pizzico di cinismo..e cos’altro?

La mia famiglia! Tutti brani dell’album sono stati ideati, scritti e registrati tra le quatto mura di casa mia e ogni componente della mia famiglia a modo suo, nel bene e nel male, ha contribuito a realizzato. Ascoltarlo è come entrare a casa mia, come sfogliare un album di vecchie foto, come ascoltare racconti di vita vissuta: è un disco che ti accoglie amichevolmente per un caffè, che ti avvolge come una coperta di lana in una sera d’inverno.

Che però non lascia fuori la porta le problematiche, i cinismi, la denuncia sociale..

Oddio..pure la denuncia sociale?

Eh si!

Direi più che mi piace scavare dentro me stesso, ascoltare la gente, osservare il mondo intorno e poi stuzzicare chi mi ascolta con i miei pensieri fatti canzone: la denuncia sociale la lascio a chi dovrebbe farla di mestiere. Io voglio solo raccontare piccole storie che poi, giocoforza, si riflettono in storie più grandi: e questo è il gioco infinito della Storia con la S maiuscola, quella che ritorna sempre, quella che le persone dimenticano, come in “Cigarettes”.

4 chiacchiere con simone cristicchiE lo fai anche trattando temi non proprio “leggeri” come in “La prima volta (che sono morto)”: uno swing lieve e vivace sulla morte..

A dire il vero non mi sarei mai aspettato che sarebbe divenuto un pezzo così popolare, così apprezzato, che la gente fosse pronta ad ascoltare, canticchiare e riflettere sulla mia idea personale che il Paradiso non sia affatto un luogo dove si va per riposare alla fine di una vita lunga e faticosa, ma che sia più che altro un posto dove si continui ad imparare, ad arricchirsi, come un ennesimo corso di aggiornamento tenuto dai grandi maestri come Paolini, che nel “mio” Paradiso è impegnato a girare un nuovo film. Questo brano rispecchia il senso del mio percorso artistico: sentirsi sempre un debuttante, lanciarsi sempre in nuove sfide.

Come Sanremo, a cui quest anno hai partecipato tra i big, dopo aver già portato a casa una vittoria in passato. Come l’hai vissuto?

Come uno shock e allo stesso tempo una bellissima opportunità: uno shock perché, anche se lo conoscevo già, mi sono trovato ad esibirmi davanti all’Italia intera su un palco così grande, dopo anni passati tra piccoli palchi davanti a un pubblico ristretto ma appassionato e fedele; una grande opportunità perché ho potuto presentare questo disco, che reputo il migliore della mia carriera almeno fino ad ora, e vederlo apprezzato dal pubblico. Peccato che poi io abbia questo vizio di distruggere sempre tutto ciò che faccio, distruggere per ricreare in una forma diversa, per dare e darmi nuovi stimoli. Il pubblico del teatro, quello più attento, lo apprezza: ho un pubblico affezionato che mi segue sempre, fin da quando non ero famoso. Ma per la musica è diverso: il pubblico della musica va coccolato, costruito con attenzione, con un occhio al marketing, uno alle tendenze e io questo non lo so fare. Mi perdo, mi innamoro facilmente delle cose, mi prendo i miei tempi e così faccio passare tre anni da un disco all’altro e poi non vado in tv e invece me ne vado in giro per l’Italia a intervistare i pazzi e i reduci della II guerra mondiale e c’è chi questo lo capisce e lo apprezza e chi no. Pazienza.

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