Il Subcomandante Marcos non ha più ragione di esistere
Mentre il vecchio continente decideva chi dovesse sedere sulle poltrone del parlamento europeo, nel nuovo mondo, in quel sud America colonizzato e devastano secoli fa proprio dagli antenati di coloro che oggi si dividono tra euro scettici ed europei duri e puri, qualcosa è cambiato per sempre. Ieri, domenica 25 maggio, in Messico, nella spianata della Realidad e più precisamente nel municipio di Las Margaritas, ha smesso di esistere il Sub Comandante Marcos dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Il Subcomandante Marcos ha annunciato così il suo addio durante un atto pubblico in omaggio a Galeano, ovvero Josè Luis Solis Lopez, storico leader zapatista assassinato lo scorso 2 maggio proprio nel territorio della Realidad, durante un attacco di paramilitari che hanno inoltre ferito 15 contadini. Un attacco che è parte di una strategia militare messa in piedi dal governo messicano contro le basi di appoggio zapatiste in Chiapas e fortemente criticata non solo dagli stessi zapatisti ma anche da tantissimi personaggi del mondo intellettuale e da altrettante organizzazioni internazionali che hanno anche firmato e condiviso un appello “contro la guerra alla comunità zapatiste”.
Il Subcomandante non appariva in pubblico dal 2009; ieri, con l’immancabile passamontagna a cui ha aggiunto una benda nera sull’occhio, è riapparso per rendere omaggio al suo compagno Galeano ma soprattutto per prendere parola e spiegare con un lungo comunicato il perché di questa decisione. Si sapeva che sarebbe apparso, con molta probabilità, per l’ultima volta in pubblico ma in pochi si aspettavano che quella ultima volta sarebbe stata proprio lo scorso 25 maggio.
Alle 2.08 il leader zapatista ha chiuso il suo discorso affermando: “Dichiaro che smette di esistere il Subcomandante Insurgente Marcos, auto denominato il Subcomandante di Acciaio Inossidabile”. Marcos non ha più motivo di esistere; il personaggio nato come emblema della lotta zapatista e considerato il portavoce ufficiale delle comunità indigene messicane ha terminato il suo operato. Il perché lo ha spiegato lo stesso Marcos analizzando dettagliatamente i venti anni di esistenza dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, parole ed analisi che in questi giorni di campagna elettorale europea molti dei leader nostrani dovrebbe fare proprie.
“E’ nostra convinzione e la nostra pratica che per rivelarsi e lottare non sono necessari né leader né capi, né messia né salvatori; per lottare c’è bisogno solo di un po’ di vergogna, una certa dignità e molta organizzazione, il resto o serve al collettivo o non serve”. Ancora, Marcos ha ricordato come è nato il “personaggio” Marcos che ieri ha smesso di esistere e l’ho fatto con quella retorica poetica che è base e fondamento del suo messaggio di ribellione, risalendo con la mente a quel lontano primo gennaio del ‘94: “Un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo. Solo qualche giorno dopo, col sangue dei nostri caduti ancora fresco per le strade, ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a guardare gli indigeni dall’alto, non alzavano lo sguardo per guardarci; abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio che videro con un passamontagna, cioè, non vedevano. I nostri capi e cape allora dissero: ‘vedono solo la loro piccolezza, inventiamo qualcuno piccolo come loro, cosicché lo vedano e che attraverso di lui ci vedano’”.
La saggezza indigena che sfidava l’occidente, il capitalismo, il potere e la modernità con la loro arma più potente, la comunicazione. Marcos si è definito come una “manovra di distrazione […] un gioco malizioso del nostro cuore indigeno”, un gioco comunicativo che ha attraversato ogni oceano divenendo punto di riferimento per milioni di persone che nella rivolta zapatista hanno attinto insegnamenti e pratiche quotidiane.
Ma ieri le basi di appoggio zapatiste, i miliziani, gli insorgenti e tutti i media “liberi ed alternativi” si erano radunati per rendere omaggio a Galeano e così uno dei momenti più toccanti ma anche più significanti è stato proprio il passaggio in ricordo del suo amico e compagno che ha pagato con la vita l’arroganza e la prepotenza del potere messicano: “Pensiamo che è necessario che uno di noi muoia affinché Galeano viva. Quindi abbiamo deciso che Marcos oggi deve morire”.
Significativo anche il passaggio sulla nuova generazione dei zapatisti, coloro che quando tutto iniziò erano ancora in fasce o non erano ancora nati. “Ci siamo accorti che c’era già una generazione che poteva guardarci di fronte, che poteva ascoltarci e parlaci senza aspettare guida o leadership, ne pretendere sottomissione. Marcos il personaggio non era più necessario. La nuova tappa nella lotta zapatista era pronta”.
Il Subcomandante non esiste più, quindi, non esiste più la figura che ha raccontato la lotta zapatista al mondo intero, ma ciò non significa che in Chiapas sia terminato il cammino di rivendicazione delle comunità zapatiste. Lo si capisce anche dalle parole del Subcomandante Insurgente Moisés, uno dei sei comandanti che hanno accompagnato l’ultimo giorno di Marcos, “Quello che vi abbiamo spiegato si vedrà nei luoghi da cui venite, speriamo l’abbiate compreso”.