Questo triste mondo malato – Il film di Gigione
Gigione è uno di quei personaggi che divide il pubblico: o si ama o si odia. Sul cantante divenuto simbolo involontario del trash-partenopeo, esistono innumerevoli leggende, qualche volta anche con un fondo di verità, come spesso accade in questi casi. La mia preferita è quella che lo voleva intenzionato ad esordire come cantautore folk-rock, motivo per cui aveva scelto di chiamarsi Gigi One, salvo poi non essere capito dal proprio pubblico, che ne aveva distorto il nome e decretato una svolta più rurale.
IL SUCCESSO DEL PECORECCIO – Di lì a diventare l’idolo di sagre e feste di paese il passo fu davvero breve. La cosa che probabilmente gli ha portato fortuna è il coraggio di andare sul pecoreccio più spinto, il suo mescolare pezzi come “La carcioffola”, evidente allusione all’apparato genitale femminile, ad altri a tema “Santi e Madonne”, senza soluzione di continuità. Gigione, al secolo Luigi Ciaravola da Boscoreale (provincia di Napoli) ha venduto milioni di dischi, è conosciutissimo anche all’estero, dove spesso viene chiamato dalle comunità italiane per esibirsi dal vivo, possiede un negozio di strumenti musicali e una piccola casa discografica, insomma una sorta di piccolo impero. Da diversi anni con lui cantano anche due dei suoi figli, il mitico Jo Donatello e Menayt (un terzo figlio pare faccia il barman in un locale di piazza Roma a Benevento).
IL LUNGOMETRAGGIO – A coronare questa vicenda meravigliosa non poteva che esserci anche una consacrazione altra, una di quelle che solo il cinema può dare. E così ecco arrivare, nel 2001, “Grazie Padre Pio”, il primo e fortunatamente anche unico film di Gigione, che prende il titolo dall’omonima hit. “Solo una forza divina può instillare nell’uomo la forza di realizzare un filmbrutto e amatoriale di portata così ampia” non poteva che esordire in modo migliore una delle recensioni più belle di questo capolavoro, pubblicata sul portale FilmBrutti.it. Fotografia da videoclip anni Novanta degno di una rete privata, regia priva di slancio, attori espressivi come bancomat ma soprattutto, trama inconcludente e inesistente malcostruita a suffragio di una sorta di wannabe musicarello, dal momento che i protagonisti sono appunto Gigione e Jo Donatello nei panni di loro stessi.
LE PERSONE CHE COMBATTONO PER LA LIBERTA’ – Il film inizia con un alterco tra Gigione e Donatello, poiché il secondo vorrebbe seguire le orme canore paterne e partire in tour con lui. Gigione però vorrebbe vedere il figlio laureato (in cosa non importa, basta che prenda il famoso pezzo di carta) e così lo lascia a casa in preda all’insoddisfazione. Del tutto casualmente, Donatello si imbatte nella procace Sara, bellona dal cuore d’oro che si impegna per delle indefinite “persone che combattono per la libertà”, per le quali bisogna racimolare soldi tramite corse automobilistiche clandestine. Caso vuole che Donatello, oltre che valente musico e aitante giovinotto dai capelli acconciati con olio di tonno Riomare, sia anche un valente pilota. Sara gli presenta Don Franco, pseudocamorrista anche lui di buoni sentimenti, il quale lo immette nel giro delle corse, che il Nostro sbaraglia inspiegabilmente grazie alla sua utilitaria. Ma quando Gigione fa ritorno a casa e viene avvertito che il figliolo è entrato in giri poco raccomandabili, colto da disperazione fa un voto a Padre Pio, grazie al quale tutto finisce letteralmente a tarallucci e vino, anche per “le persone che combattono per la libertà”. Ma qualsiasi parola è inadatta a definire la trashaggine di questo film, dunque non resta che guardarlo.