I 35 anni di Pac-Man, un gioco per ragazzine

24 Maggio 2015
Redazione YOUng
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Pac-Man

I videogiochi non influenzano i bambini. Se Pac-Man avesse influenzato la nostra generazione, staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole e ascoltando musica elettronica ripetitiva. (Marcus Brigstocke, comico inglese, 1989)

Tra i trentacinquenni che conoscete, è sicuramente il più divertente e fedele a se stesso.
Pac-Man, il videogioco arcade considerato da molti il primo della sua specie, compie 35 anni il 22 maggio.

Dopo anni di Pong (ricordate le due stanghette bianche su sfondo nero che si muovevano lanciando una palla? Ecco), i giorni dell’innocenza videoludica stavano per terminare. L’americana Atari stava per perdere la leadership sull’emergente industria dei videogiochi e i giapponesi volevano assolutamente approfittarne.

Nel 1977 un giovane laureato in ingegneria elettronica, Toru Iwatani, vaga per la città in cerca del famoso primo impiego. Dato che in Giappone non richiedono quattro anni di esperienza e tre lingue per un contratto di apprendista, viene assunto alla Namco. Toru era un appassionato di flipper e il grande sogno della sua vita era costruire flipper.
Sì, non è uno scherzo: voleva costruire flipper elettronici.
Fatto sta che alla Namco non producevano questi benedetti flipper, ma Toru comincia a lavorare lo stesso. Progetta due giochi abbastanza banali, a forma di flipper!!, per poi lanciarsi in un nuovo progetto. “Se gli uomini sono una metà del cielo” si chiede Toru, “e comprano videogiochi, perchè non farli comprare anche all’altra metà del cielo?”.

Il suo nuovo progetto aveva un unico obiettivo: concepire un game che potesse piacere alle ragazze. Toru crea Cutie Q, un videogioco a forma di flipper se non si fosse capito, in cui si distruggevano gli elementi. Unico elemento in cui differiva era appunto lo stile.
Che cosa può smuovere delle ragazzine a giocare con un gioco, se non i colori e lo stile pucciettoso? Toru, genio del marketing, inserisce dei fantasmini colorati, ognuno con il proprio nome (in americano Blinky, Pinky, Inky e Clyde) e con la propria personalità, con comportamenti svariati che vanno dal ragionato al totalmente stupido.
Lo stile è cartoonesco, i colori sgargianti grazie anche alle nuove tecnologie e all’interno del gioco ci sono degli intervalli scherzosi in cui Pac-Man gioca con il fantasmino rosso.

Pac-Man, in Giapponese Paku Paku Taberu, in origine si chiamava Puck-Man, ma voi capite la facilità con la quale si sarebbe potuta trasformare quella P in una F. Americani maliziosi.6948750df05253dab1a87d5cfb39dab7

Ma si starete chiedendo di sicuro una cosa importante: se davvero questo videogioco doveva attirare le ragazze, come mai parla di una pallina che mangia frutta?
Toru Iwatani, che non era l’ultimo ingegnere elettronico arrivato sul pianeta donna, aveva ben capito che l’era dei videogiochi spaziali, di battaglia o di sport era finita; doveva esserci un gameplay vario e avere una tematica che potesse far breccia nel cuore delle ragazzine. E quale migliore se non il cibo?
Ebbene sì: il signor Iwatani, nel Giappone del 1979, afferma “Sapevo che alle ragazze piace mangiare, e quindi cominciai a lavorare su questo concetto”. Tutti ci scostiamo da questa affermazione, ma Pac-Man il botto l’ha fatto eccome.

Alla fine del XX secolo ha fatto guadagnare in sole monetine ben due miliardi e mezzo di dollari. Cifre allucinanti, se pensiamo che siamo nei gloriosi anni ’80. Pac-Man, assieme a Donkey Kong (che arriverà poco dopo), segna lo spartiacque nella storia dell’industria videoludica. Oramai le grandi aziende cinematografiche si erano interessate ai videogiochi e i produttori giapponesi di giocattoli avevano deciso di rivendicare la propria fetta di torta.

Dopo Pac-Man comincerà la guerra senza limiti delle console da casa, e tutti ben presto si dimenticheranno degli arcade nelle sale giochi.

La ragione per cui Pac-Man è così amato e ricordato è non solo per l’abile operazione di marketing visivo. Questo videogioco si rivolge a tutti ed è creato per qualsiasi persona: dal bambino all’adulto, dal ragazzo alla ragazza, senza distinzione di sesso, età, classe sociale. Non contiene elementi realistici se non la frutta, non è collegabile a qualche avvenimento storico o morale: è un gioco puramente astratto e colorato. Faceva uscire il videogioco da quell’immaginario collettivo di sala giochi come luogo malfamato e pieno di fumo.

Ci sono videogiochi che, a causa della grafica o delle tematiche, perdono appeal e diventano spesso opachi. Ma Pac-Man compie trentacinque anni e li porta benissimo. Anzi, ammettiamolo tutti: Pac-Man è difficilissimo e neppure io ho la pazienza di passare tutti quei livelli senza lanciare qualche stralo al cielo; è bellissimo proprio per questo.

 

Ps: in molti si chiederanno del “livello 256”, considerato l’ultimo livello di Pac-Man, anche se teoricamente può continuare all’infinito. A causa di un bug della funzione che disegna la frutta nella barra, nessuno di voi è mai riuscito ad andar oltre: il simbolo del livello viene disegnato in un solo byte, quindi completato il 255 (in esadecimale FF) la funzione legge dal numero esadecimale 100 solamente “00”. Il sistema allora crede di essere sotto il livello 8, intrippandosi nel disegnare 256 frutti al posto di sette. Il risultato è una schermata piena di segni.
Si dice che un bambino riuscì a completarlo, ricevendo addirittura il plauso del presidente Reagan.
Sta di fatto, cari appassionati giocatori che avete perso le ore a cercare di andar oltre il livello 255, che in tempi recenti l’emulatore MAME ha bypassato il bug, provando così che si può vincere e continuare a giocare.

 

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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