L'evoluzione del corteggiamento ( I parte)

16 Luglio 2014
Redazione YOUng
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L’amore è nato con l’Uomo, forse un attimo dopo del corteggiamento. Sì, signori, il corteggiamento: quell’arte sottile che coinvolge tutte le specie animali e che rappresenta l’input del rinnovo generazionale. In stretta accoppiata con il gioco della seduzione, il corteggiamento è il preludio dell’accoppiamento e nessuno può dire di non averne mai subito o sperimentato gli effetti.

Gli individui di ogni specie, quindi, seducono, corteggiano e si accoppiano. Ora, un etologo potrebbe sicuramente spiegarci se e quanto sia cambiato il comportamento della sfera sessuale negli animali, ma già a colpo d’occhio, anche da profani, possiamo capire che non ci siano grosse novità da un millennio ad un altro.

Cosa ben diversa, invece, accade per l’animale dotato di pensiero e parola, comunemente noto come Uomo.

Presumo che alle origini della sua avventura terrena, mentre cavalcava i secoli della preistoria, l’uomo si discostasse poco dalle altre specie: maschi e femmine si corteggiavano, sempre con il fine ultimo dell’accoppiamento, alla stessa stregua degli altri animali: annusatine, leccate, offerte di cibo e robe simili. Sì, sì, penso che andasse proprio così.

Ben diverso, invece, il comportamento umano già in quella fase che convenzionalmente chiamiamo Storia. Con l’avvento della scrittura, l’uomo uscì a passi da gigante dallo stato ferino e in tutte le civiltà, in alcune prima di tutte, pian piano si raffinò anche la tecnica del corteggiamento. Come? Semplice, con le dediche poetiche. La scrittura, nata per meri scopi commerciali, si avviò velocemente a soddisfare le esigenze più disparate, dalla celebrazione di Dei e sovrani alla narrazione di grandi eventi e gesta, passando per la nobile arte della poesia amorosa. Sicuramente ancora prima della scrittura, qualche uomo di particolare ingegno avrà incantato con dolci parole frotte di pulzelle, ma a noi restano i versi scritti dei poeti e da quelli dobbiamo partire.

Mentre, dunque, il resto del mondo animale proseguiva a suon di feromoni, l’uomo si raffinava sempre di più, fino al punto da staccare quasi del tutto il corteggiamento dal suo fine primordiale. Contrariamente allo stato naturale delle cose, il corteggiamento prende una sua autonomia a prescindere dall’accoppiamento. D’altronde, anche l’accoppiamento brillava di luce propria e non solo in visione di un incremento della prole. Piacere dei sensi a prescindere dal figliare, piacere del corteggiamento senza necessariamente uno scopo preciso.

Fiumi e fiumi di lettere, poesie, promesse, parole; e anche inganni, bugie, mistificazioni; e rose, regali, gioielli; appuntamenti, cene e, infine, baci. Ecco, per secoli ha funzionato più o meno così. Chi era pratico di suo buttava giù di righe, quanto più accattivanti possibile. Chi non sapeva, o non poteva, prendeva a prestito dai poeti o dagli amici o da chi (figura realmente esistita almeno fino ad un cinquantennio fa) per mestiere scriveva a pagamento lettere e poesie per gli altri.

Di solito, il corteggiamento è maschio, almeno nell’immaginario collettivo. Ma in natura, e nella prassi, nulla esclude che possa essere anche la femmina a corteggiare; a volte, imitando le gesta maschili; spesso, sfruttando le proprie, strettamente connesse all’opera di seduzione. Per la femmina, infatti, seduzione e corteggiamento vanno più di pari passo che nell’uomo. La donna seduce e corteggia, allora, nei modi più disparati: l’abbigliamento, la cucina, la dolcezza. Poi ci sono le grafomani, ma sono le meno apprezzate, ne so qualcosa.

Secoli e secoli, dunque, di questo tran tran con variazioni di scarso rilievo: poco importa se la rosa sia del giardino di casa o proveniente dall’Olanda. E poco importa pure se la lettera d’amore venga scritta con pennino e calamaio o con una banalissima Bic. La sostanza, la lettera, non cambia. Per secoli, fra l’altro, non è cambiato nemmeno il primo appuntamento: dalle candele alla luce elettrica (anche se le candele sono il must di una cena romantica anche nella modernità), la passione bruciante ha sempre fatto più o meno lo stesso percorso: occhi negli occhi, mani intrecciate, parole e silenzi in perfetta armonia e, soprattutto, istinti ferini tenuti ben a bada, almeno per i primi dieci minuti.

Già dalla seconda parte degli anni ‘90, però, qualcosa cominciò a cambiare. Prima piano piano, poi sempre più vorticosamente, la comunicazione digitale si è insinuata ed impossessata della seduzione, del corteggiamento e, per i meno esigenti, anche dell’accoppiamento. Tutto cominciò con gli squillini ai cellulari. Uno squillo, ti penso. Due, chiamami ché tu hai la tariffa migliore. Meraviglioso, no? Fare uno squillo a qualcuno ogni volta che lo si pensava sembrava più intenso e pragmatico del sospirone con gli occhi languidi: era finalmente giunto il momento in cui il nostro amato bene poteva sapere, ovunque fosse, che lo si pensava. Secondo me, in quegli anni psicologi e psichiatri cominciarono ad avvertire un sensibile aumento di potenziali pazienti.

Quante volte al giorno si pensa all’innamorato? Sicuramente più di 10 volte, spesso più di 20. Quindi, l’innamorato passò presto da pensato a perseguitato: se la risposta non era immediata, la volta in cui i due si incontravano de visu succedeva il pandemonio “ti ho fatto lo squillo alle 20.31. Dov’eri? Perché non hai risposto? Mi tradisci, confessa!”. Magari l’ignaro soggetto era chino, come ogni sera nei suoi ultimi 20anni, sulla succulenta cena di mammà. Per evitare inconvenienti incresciosi, il cellulare fece il suo ingresso trionfale sulle tavole di pranzo e cena, sul comodino accanto a letto e nel bagno. Reperibilità che nemmeno un chirurgo. Lo squillino, da gesto carino di corteggiamento, cominciò a diventare vero e proprio strumento di tortura psicologica, una sorta di controllo a distanza, un ricatto emotivo, una rottura di scatole senza confini.

Lo squillino ebbe breve durata perché fu presto soppiantato dal famosissimo Sms. Ancora oggi, nell’era in cui tutto cambia con gran velocità, gli Sms tengono botta e si fanno onore fra le varie messaggerie che alloggiano sui telefoni di ultima generazione.

L’essemmèesse è stato per un decennio buono il re indiscusso del corteggiamento. C’è stata gente che ci ha persino programmato il concepimento dei figli, per sms. Fitti, fittissimi e costosi (prima che tornassero gratuiti come all’origine, ma con delle promozioni capestro), sostituiscono il carteggio dei nostri avi. Anche qui, secondo me, con grandi scossoni alla salute psicofisica degli innamorati.

Se, durante le guerre mondiali, un “ti amo” per lettera ci metteva a volte mesi ad arrivare a destinazione, con gli sms il viaggio è lungo quanto un battito di ciglia. E se il ricevente osa impiegare più di 5 minuti nella risposta, è già automatica l’accusa di insensibilità, strafottenza, inaffidabilità. Sì, inaffidabilità: come puoi pensare che ti ami sul serio chi ci mette più di 5 minuti a rispondere ad un messaggio? Chissà quante potenziali coppie solide si sono rotte ancora prima di formarsi, per via di questo supponente atteggiamento. Supponente, sbagliato, ma così potente da essersi insinuato nelle menti di tutti e aver scardinato concetti come attesa, pazienza, rispetto.

L’amore ha fretta e aveva fretta anche 700 anni fa. Ma dubito che un poeta stilnovista abbia mai liquidato una graziosa creatura, solo perché questa ha risposto al suo amore con due giorni di distacco.

Adesso è acclarato, senza alcuna remissione, che un uomo o una donna che risponda al messaggio dopo più di 10 minuti non è innamorato/a. Se risponde dopo due giorni, è inaffidabile. Se non risponde proprio, è inqualificabile. Peccato che, come succedeva per le missive, ogni tanto salti pure qualche sms e non arrivi.

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