Omicidio Noviello e Granata due sentenze, due diversi stati d’animo dei familiari

26 Giugno 2014
Marco Miggiano
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downloadSi è appena spenta l’eco delle parole del P. M. della DDA di Napoli, Alessandro Milita, che ieri presso la Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha iniziato la sua requisitoria al processo, con il rito ordinario, contro gli assassini di Domenico Noviello, l’imprenditore ucciso nel 2008 dall’ala stragista del clan dei Casalesi. Ieri chiamati a rispondere dell’omicidio di Domenico Noviello, oltre a Giuseppe Setola, c’erano i suoi più stretti collaboratori. Domenico Noviello, secondo il Procuratore antimafia, prima “dall’azienda Setola” è stato ucciso dalla comunità, con il suo atteggiamento omertoso: era stato l’unico a denunciare e il suo isolamento lo ha reso un facile bersaglio.
Oggi, invece, presso la Corte di Assise d’appello del Tribunale di Napoli altri tre collaboratori di Setola, Alfiero Massimo, Granato Davide e Bartolucci Giovanni, che hanno scelto di essere processati con il rito abbreviato, sono stati sottoposti al giudizio di secondo grado.

Intanto in un’altra aula del palazzo di giustizia di Napoli sono stati giudicati altri camorristi per l’omicidio di Raffaele Granata, titolare dello stabilimento “La Fiorente” di Varcaturo, ucciso l’11 luglio 2008. Imputato d’eccellenza, anche qui, Giuseppe Setola, che in collegamento in video conferenza da Milano ha chiesto al giudice di essere sottoposto a visita medica ai fini pensionistici.

Amarezza e soddisfazione da parte dei rispettivi familiari dei due imprenditori uccisi dalla stessa ala stragista del clan di Giuseppe Setola. Nell’aula 320, infatti, la Corte d’Assise d’Appello ha confermato gli ergastoli per i boss Giuseppe Setola e Giovanni Letizia, accusati dell’omicidio di Raffaele Granata. Confermate anche le condanne a 29 anni per Carlo Di Raffaele e a 28 anni per Ferdinando Russo, mentre l’italo – americano  Loran John Perham è stato condannato a 18 anni (in primo grado la pena inflitta era stata di soli 5 anni per favoreggiamento). La moglie Raffaella Ferrillo e i figli Giuseppe, Francesco, Massimo e Cinzia, al termine dell’udienza hanno voluto esprimere profonda gratitudine agli avvocati di parte civile Maurizio Sica e Antonio De Girolamo e soddisfazione per l’operato della Magistratura: Abbiamo ottenuto piena giustizia. Ci aspettavamo pene severe, il sacrificio di un onesto lavoratore meritava condanne esemplari“.

Se nella 320 il clima che si registra tra i familiari della vittima è di grande soddisfazione, non si può dire altrettanto per l’esito della sentenza di secondo grado pronunciata nella 318  nei confronti degli assassini di Domenico Noviello. Oggi, infatti, è stata pronunciata anche la sentenza dalla prima sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli nel processo a carico di Granato Davide, Alfiero Massimo e Bartolucci Giovanni per l’omicidio dell’imprenditore Domenico Noviello, imputati già riconosciuti colpevoli e condannati alla pena dell’ergastolo nel processo di primo grado, svoltosi con le forme del rito abbreviato, innanzi al Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Napoli. La decisione della Corte è andata oltre le migliori aspettative per gli imputati ed anche oltre le richieste del Procuratore Generale; quest’ultimo aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado per Alfiero Massimo e Granato Davide, con la riduzione della pena dell’ergastolo in quella della reclusione a trenta anni, con conferma solo per la posizione di Bartolucci Giovanni. Invece la Corte, nonostante la ferma opposizione ed il manifestato dissenso dei difensori dei familiari della vittima, costituiti parti civili, ha modificato per tutti e tre gli imputati la pena inflitta in primo grado escludendo l’ergastolo ed applicando la pena della reclusione a trent’anni, assolvendo l’imputato Granato Davide dal reato di ricettazione. Decisione incomprensibile e certamente non condivisa da chi tale orrendo crimine ha subito e da quanti si sono prodigati affinché emergesse la verità ed affinché fosse ripristinata la presenza dello Stato in un’area del nostro paese, quale è quella della Provincia di Caserta, da decenni oramai martoriata dal cancro della criminalità organizzata.

La condanna all’ergastolo, innanzi a prove chiare ed inequivocabili circa le responsabilità degli imputati, era l’unica risposta possibile nei confronti di chi non solo si era macchiato del peggiore dei crimini, quale è l’omicidio, ma anche di chi ha voluto in quel modo colpire lo Stato, lo stesso Stato nelle cui mani Domenico Noviello nel lontano 2001 aveva affidato la propria vita e quella della propria famiglia, allorquando decideva, rompendo lo spesso muro di omertà che per decenni si era stratificato, di denunciare i propri estorsori. Motivo per il quale nel 2008 ne veniva sentenziata ed eseguita la condanna a morte, in questo caso  senza alcuna possibilità di appello. Mimma Noviello, una delle figlie dell’imprenditore, esprime insoddisfazione e amarezza per una sentenza che riduce le pene a tutti gli imputati. “Per quanto può essere tecnicamente logico dal punto di vista giuridico, quello che oggi è accaduto in quell’aula non mi soddisfa per niente. Mi sembra di essere ritornata indietro di molti anni, quando mio padre e mio fratello denunciarono i loro estorsori, i quali dopo essere stati condannati, dopo qualche anno si trovarono di nuovo liberi. Con questa riduzione di pena, considerando che c’è ancora un altro grado di giudizio, che potrebbe ulteriormente peggiorare la situazione, sento forte il rischio di vedere gli assassini di mio padre un giorno o l’altro circolare liberamente. Immagino lo stato d’animo di mio fratello che era presente in udienza quando ha dovuto incrociare lo sguardo spavaldo di Davide Granato. Conoscendolo sono certo che Massimo non avrà chinato la testa, come ci ha insegnato nostro padre”.

Ciò detto resta la necessità, non fosse altro per l’esigenza di non minare i principi fondamentali sui quali il nostro sistema democratico si fonda, di rispettare sempre e comunque, per quanto assolutamente non condivisa, una sentenza pronunciata in nome del Popolo Italiano.

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