Le sirene esistono, siamo noi! La scienza e le origini anfibie dell'uomo

4 Novembre 2013
Maria Melania Barone
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sirene_mareL’unica certezza che abbiamo è che Dio non creò l’uomo in un giorno. Oltre questa certezza vi è un oceano infinito di dubbi e buchi irrisolti. Sembra che la scienza non riesca a riempire quella memoria atavica che abbiamo perduto nel cammino durato milioni di anni che ci ha portato a diventare “le scimmie nude che dominano il mondo”.

Darwin ad esempio non riusciva a spiegare come mai alcuni animali, seppur diversi nella loro forma, avessero le stesse ossa nella stessa posizione, quasi come seguissero uno stesso modello. Questo dato infatti rendeva la sua teoria sull’evoluzione della specie abbastanza limitata e lui stesso descriveva la teoria sull’evoluzionismo come “un’impresa disperata”:

«Quale fatto può essere più strano di quello per cui la mano dell’uomo, formata per afferrare, quella della talpa, fatta per scavare, la gamba del cavallo, la pinna del delfino e l’ala del pipistrello debbano essere tutte strutturate secondo uno stesso modello, e debbano contenere le stesse ossa nella stessa posizione reciproca? Come sono inspiegabili questi fatti per l’opinione corrente sulla creazione! Nessuna impresa può essere più disperata del tentativo di spiegare questa somiglianza… in base all’utilità o alla dottrina delle cause finali».

“In origine fu il Verbo o il DNA?”, così titolò il Corriere della Sera il 9 Settembre 2005. Ed il dubbio rimane anzi, oggi sappiamo con certezza che il DNA interviene anche nell’evoluzione della specie. ciò non inficia i presupposti della teoria darwiniana, ma anzi arricchiscono una teoria che ancora è piena di incertezze.

L’UOMO ANTICAMENTE ERA UN ANIMALE ACQUATICO – Recentemente però si è fatta largo nel mondo scientifico una nuova teoria che avrebbe sicuramente appassionato Darwin: quella secondo cui, tutti gli esseri viventi sono nati da animali acquatici. Una teoria che, se da un lato mette in crisi la più comune credenza della discendenza dalle scimmie, da un lato va addirittura ad avvalorarla se si tiene in considerazione che, questi animali acquatici, abitavano il nostro pianeta oltre 419 milioni di anni fa. A supporto di questa teoria, due importanti scoperte:

La prima riguarda il paleontologo americano, Neil Shubin, che le ha esposte nel libro “Your inner fish” ossia “il pesce che è in te”. In questo libro è stata raccontata il ritrovamento di un pesce fossile che risale a 375 milioni di anni fa. Il fossile è stato rinvenuto nell’Artico canadese. Ma ciò che interessa maggiormente a Shubin sono le fattezze fisiche di questo pesce che vanta un collo e anche due mani così come testimoniato anche dalle analisi di laboratorio.

Per il paleontologo questa è la dimostrazione che centinaia di milioni di anni fa è esistito sul nostro pianeta un animale di transizione dalla vita marina a quella terrestre. I discendenti di questo animale si sono poi diversificati in molte specie animali differenti.  Del resto la teoria evoluzionistica, tenendo anche conto della storia del nostro globo terrestre, deve  ipotizzare per forza che le specie viventi discendano da altrettante specie marine. Fino a quel momento mancava però un reperto fossile che lo testimoniasse. Adesso che il reperto esiste, è impossibile usare quest’unica prova a supporto della teoria evolutiva dell’uomo che vede i suoi più antichi antenati negli animali acquatici e così Shubin fece un altro passo avanti: cercò in noi esseri umani i residui delle nostre origini anfibie. E ne trovò moltissimi: dalla pelle che si increspa nell’acqua per aumentare l’attrito attenuato dai liquidi, alla capacità incredibile di trattenere il respiro molto più a lungo di alcuni mammiferi marini, alla capacità di nuotare appena nati senza che si presenti il bisogno di respirare.

Ma Shubin andò ancora più a fondo: secondo lui le malattie che ci colpiscono anche e soprattutto per la conformazione anatomica del nostro corpo è la chiara dimostrazione che noi uomini ci stiamo ancora evolvendo. L’Evoluzione della specie è un processo molto lento e spesso anche un pò traumatico ma soprattutto imperfetto. Nonostante i corpi cerchino costantemente un equilibrio nelle proprie trasformazioni, spesso presentano delle imperfezioni strutturali. Di queste imperfezioni l’essere umano ne è praticamente il leader indiscusso così come scrisse La Repubblica su questo argomento:

Le nostre vene, ad esempio, sono distribuite in modo da realizzare un sistema circolatorio inefficiente; le nostre ginocchia sono troppo deboli per sopportare il peso del corpo; l’ ernia inguinale potrebbe essere conseguenza di una cattiva evoluzione delle gonadi dei pesci in quelle umane; il nostro stesso cervello si sarebbe evoluto rozzamente rispetto a quelli dei nostri predecessori. «Queste caratteristiche sono lo scotto che l’ uomo ha dovuto pagare per essere disceso dai pesci», spiega Shubin nel suo libro: sostiene appunto che una serie di manifestazioni fisiche dell’ uomo, dal singhiozzo alla malattie cardiovascolari, sono il risultato di un cattivo adattamento alla vita terrestre.   In un’ intervista a Newsweek il paleontologo dice: «I nostri corpi presentano delle forti discrepanze con il nostro stile di vita. Si prenda ad esempio, il sistema circolatorio. Esso venne disegnato per una forte attività, come la hanno i pesci, ma lo stile di vita dell’ uomo è molto simile a quello di una patata. Non si disperi però, perché l’ evoluzione è ancora in atto e la selezione porterà a liberare l’ uomo da alcune inefficienze»

Un dettaglio del fossile mostra la parte superiore "corazzata" della testa, la mascella e la mandibola. Photo: Min Zhu et al. / Nature

Un dettaglio del fossile mostra la parte superiore “corazzata” della testa, la mascella e la mandibola. Photo: Min Zhu et al. / Nature

La seconda scoperta invece riguarda un pesce con la nostra stessa bocca.

Si tratta di un fossile antico 419 milioni di anni e descritto dall’equipe di Min Zhu, un paleontologo della Chinese Academy of Sciences’ Institute of Vertebrate Paleontology and Paleoanthropology di Pechino in un articolo su Nature e ripreso da Focus:

Il reperto presenta il caratteristico sistema osseo composto da tre elementi usato ancora oggi dai vertebrati per masticare: un osso mascellare inferiore (la mandibola) che ospita l’arcata dentaria, e due ossa superiori: il premascellare, in cui sono inseriti i denti incisivi, e il mascellare, che sostiene i canini e i denti laterali. Nei mammiferi (uomo incluso) le due ossa superiori sono fuse. La disposizione di queste ossa è sostanzialmente la stessa di quella dei moderni vertebrati: quella dell’Entelognatus sarebbe, quindi, la prima “faccia” con le caratteristiche che siamo abituati ad associarvi. Lo sviluppo di una mascella potente ha rappresentato un passo fondamentale nell’evoluzione dei vertebrati. I primi pesci ossei se ne sono serviti, probabilmente, per catturare prede più grosse e leste.

LA TEORIA DELLA SCIMMIA ACQUATICA – Uno dei sostenitori della teoria della scimmia acquatica è il biologo tedesco Max Westenhofer che in un libro del 1942 ipotizzò che i primissimi stadi dell’evoluzione umana fossero avvenuti in prossimità dell’acqua. Così egli scrive: “Postulare un modo di vita acquatico in una fase precoce dell’evoluzione umana è un’ipotesi sostenibile, per la quale si possono produrre ulteriori indagini e elementi di prova”. Ma il vero fondatore della teoria decisamente affascinante è il biologo marino Alister Hardy che aveva fatto ipotesi già negli anni ’30 solo che si decise a rendere pubblica quella che era considerata a tutti gli effetti una “eresia scientifica”, soltanto il 5 marzo del 1960 in occasione del British Sub-Aqua Club di Brighton. La differenza è che la teoria di Hardy non vede la scimmia acquatica come una nostra antenata, bensì come una nostra cugina. In pratica, secondo il biologo, alcune scimmie si sarebbero spinte nell’entroterra alla ricerca di cibo  ed hanno quindi stabilito un regime prevalentemente erbivoro mentre altre scimmie si sono spinte sulle coste alla ricerca di molluschi, crostacei ed altri tipi di pesci in grado di dare un valido apporto di proteine. Ma la pesca richiedeva talvolta la necessità di immergersi, di nuotare in apnea anche per periodi più o meno lunghi. Una difficoltà che ha messo alla prova le capacità del corpo della scimmia trasformandola in una scimmia acquatica a tutti gli effetti: una sirena.

COME SI EVOLVERà L’UOMO? – In uno studio del 2008 condotto da Gregory Cochran e Henry Harpending dell’ Università dello Utah e pubblicato su Proceedings of the National Academies of Sciences si dimostra che l’ uomo si sta ancora evolvendo e lo sta facendo con una velocità mai conosciuta prima. Il Professor Harpending ha dichiarato che «se la velocità con la quale stiamo evolvendo fosse sempre stata quella di oggi, le differenze genetiche con gli scimpanzè sarebbero almeno 160 volte superiori a quelle reali». Insomma alcuni biologi evoluzionisti stanno abituando la teoria secondo cui l’evoluzione umana si fosse fermata a 10 mila anni fa con la nascita dell’agricoltura e lo sviluppo tecnologico. Secondo la teoria di Harpening non c’è niente di più falso in quanto, proprio questa padronanza del mondo ci ha consentito di colonizzare gran parte del pianeta causando mutazioni genetiche a seconda degli habitat. Il dottor Gregory Cochran ha inoltre dichiarato: «L’ evoluzione dell’uomo assomiglia molto a certe storie di fantascienza dove i “mutanti” prendono il sopravvento su umani che non riescono ad adattarsi all’ambiente o a certe malattie». Non è dato sapere quali saranno le prossime evoluzioni dell’uomo ma un’ipotesi vede una differenziazione delle “razze” umane a seconda dei luoghi: se in Africa gli uomini saranno sempre più resistenti alla malaria, in Asia alcuni geni sopprimeranno gli odori del corpo e renderanno i capelli molto più grossi rispetto a quelli di oggi. Gli uomini europei hanno invece sviluppato dei geni in grado di far digerire il latte non pastorizzato cosa che non è accaduta in Africa e in Asia. Inoltre in individui asiatici esistono degli enzimi in grado di digerire la soia, una capacità non contemplata nel patrimonio genetico europeo (a differenza di quanto voglia farci credere l’industria agroalimentare).

entelognatus_1221021Come scrive anche Focus, oggi l’unica cosa certa è che abbiamo qualcosa in comune con l’Entelognathus primordialis, un membro atipico della classe dei Placodermi, antenati dei pesci che nuotavano nell’oceano tra i 430 e i 360 milioni di anni fa, quando la Terra non era che un unico continente chiamato Gondwana. Di questo pesce noi abbiamo ereditato la mascella ed è il pesce più antico di cui si abbia notizia. Dopo aver scoperto Placodermi con le mani e col collo e dopo esser riusciti ad osservare la rapidità dell’evoluzione dell’uomo, vogliamo pensare forse che  in un arco così lungo non si siano mai davvero sviluppate le scimmie acquatiche o uomini pesce di cui narrano le leggende e i graffiti di 36 mila anni fa? Forse un giorno la scienza, superando le divisioni che la caratterizzano, riuscirà a restituirci quella memoria atavica che abbiamo perso in oltre 450 milioni di anni.

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L'AUTORE
Giornalista pubblicista nasce a nel cuore di Napoli ma vive in molte città italiane, dopo aver compiuto studi umanistici si interessa al mondo editoriale con particolare attenzione alla politica, ambiente e geopolitica.
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