"Dell'Utri è un uomo colto, soprattutto sul fatto" – Il Fatto della Settimana
di Simone Ferrali
Tempo di ascoltare le dichiarazioni spontanee dell’imputato, l’arringa difensiva di uno dei due avvocati (Massimo Krogh) e la Corte d’Appello di Palermo emetterà la Sentenza nel processo che vede imputato Marcello Dell’Utri, Senatore PdL e cofondatore di Forza Italia, per concorso esterno in associazione mafiosa.
In realtà una Sentenza di secondo grado è già stata emessa il 29 giugno 2010 (condanna a 7 anni di reclusione per l’imputato), ma la Corte di Cassazione l’ha annullata in data 9 marzo 2012, in quanto non ha ritenuto provato il reato nel periodo che va dal 1978 al 1982, ossia gli anni in cui Dell’Utri non lavora per Berlusconi, ma per Filippo Alberto Rapisarda.
La Suprema Corte però ha accertato il concorso esterno in associazione mafiosa nel periodo che va dal 1974 al 1978, e dal 1982 al 1992. In particolare la Cassazione scrive che dobbiamo ritenere per certa l’esistenza di un “patto che, per altro, risentiva di una certa, espressa propensione dell’imprenditore Berlusconi a monetizzare, per quanto possibile, il rischio cui era esposto e a spostare sul piano della trattativa economica preventiva l’azione delle fameliche consorterie criminali che invece si proponevano con annunci intimidatori”; in questo patto, Marcello Dell’Utri svolgeva la funzione di “trait d’union tra Berlusconi e Cosa Nostra per la realizzazione di un patto di reciproca convenienza: la protezione mafiosa in cambio di soldi versati all’organizzazione”. La Suprema Corte ha ritenuto provato anche l’incontro milanese, raccontato dal pentito Francesco Di Carlo, tra il Cavaliere, Dell’Utri, e i boss Tanino Cinà, Mimmo Teresi e Stefano Bontade, nel quale quest’ultimo rassicurò Berlusconi, impaurito dalle continue minacce mafiose, dicendogli “se ha qualche problema si rivolge (sic!) a Marcello (Dell’Utri, ndr), che lui sa cosa fare”.
Per quanto riguarda invece gli anni successivi al 1992, nei quali il reato di concorso esterno non è provato (nonostante Dell’Utri non abbia smesso di incontrare qualche mafioso), il cofondatore di Forza Italia è tuttora imputato per attentato a corpo politico dello Stato, con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra, nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-Mafia: secondo la Procura di Palermo infatti, Forza Italia è il frutto della Trattativa. A conferma di questa tesi ci sono un dato di fatto e le parole di due pentiti: la Mafia butta a mare il neonato partito politico secessionista Sicilia Libera, fondato dal Gotha di Cosa Nostra in collaborazione con il principe Orsini; il pentito Nino Giuffrè racconta ai pm che Provenzano gli disse: “Con Dell’Utri siamo in buone mani”. Da quel momento in poi, Cosa Nostra iniziò a lavorare per Forza Italia; il collaboratore di Giustizia Gaspare Spatuzza invece racconta agli inquirenti che il boss Giuseppe Graviano, incontrato al Bar Donkey di Roma, alludendo a Berlusconi e Dell’Utri, e poi confermando che si trattasse di loro, gli rivelò che “Grazie alla serietà di certe persone ci hanno messo (alla Mafia, ndr) il paese nelle mani”.
Staremo a vedere se il Gup Piergiorgio Morosini rinvierà a giudizio il Senatore pidiellino, o meno, ma comunque vada, non cambia la sostanza delle cose.
In questi mesi sia la Stampa amica, che quella (presunta) nemica, ha raccontato la vicenda del cofondatore di Forza Italia, descrivendola come un insieme di meri incontri tra lui e qualche boss mafioso, senza un do ut des vero e proprio. In realtà le cose non stanno così, ed è bene cancellare dalla nostra mente tutte le minchiate che i vari media di regime ci hanno raccontato. Checché ne dicano i signorotti, ci sono dei fatti, che riguardano Dell’Utri, che tutti dovremmo conoscere. I fatti che hanno indotto la Magistratura ad aprire un procedimento nei suoi confronti per concorso esterno; i fatti che hanno portato il Tribunale e la Corte d’Appello di Palermo a condannarlo (come abbiamo visto però, la Sentenza di 2 grado è stata annullata con rinvio); i fatti per i quali il Procuratore generale di Palermo, Luigi Patronaggio, ha chiesto nuovamente 7 anni di reclusione per il cofondatore di Forza Italia.
Tutto inizia nel marzo del 1974 quando l’attuale Senatore pidiellino torna a lavorare per Berlusconi (era già stato alle sue dipendenze tra il 1964 e il 1965), occupandosi della ristrutturazione della villa di Arcore, appena acquistata dal Cavaliere. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Palermo e confermato dalla Cassazione, qui inizia il reato di concorso esterno: grazie alla Mafia Dell’Utri diventa uomo di punta delle aziende del Cavaliere, ed in cambio apre un varco ai boss per entrare in affari con l’imprenditore Silvio Berlusconi.
In quei giorni il cofondatore di Forza Italia, a seguito dell’incontro suddetto tra il Cavaliere e i boss, su raccomandazione del mafioso Tanino Cinà (amico intimo di Dell’Utri e membro della famiglia Malaspina), chiama a lavorare presso la villa un noto mafioso della del clan Porta Nuova: Vittorio Mangano. Berlusconi e l’amico Marcello definiranno sempre Mangano come il fattore di Arcore, ma Paolo Borsellino (così come tanti collaboratori di Giustizia) non è concorde con la versione fornita dai due, tanto che nella sua ultima intervista, parlerà dell’uomo d’onore dei Porta Nuova come il “terminale del traffico di droga che conducevano le famiglie palermitane”, una “testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia”. Sta a voi scegliere se credere a Paolo Borsellino o Silvio Berlusconi. Non credo nasca l’imbarazzo della scelta.
Sul finire del 1974, Mangano ordina il sequestro del principe Luigi D’Angerio, uno strano personaggio, finto nobile e molto amico di Berlusconi. I sequestratori riescono a rapire D’Angerio, ma al momento della fuga sbandano con la macchina e l’ostaggio se la svigna. I Carabinieri che indagano sul rapimento trovano sul posto dell’incidente un documento di un mafioso della famiglia Vernengo (fiancheggiatori di Luciano Liggio, mandante di centinaia di rapimenti nel nord Italia a scopo estorsivo). Proseguendo con l’inchiesta, le Forze dell’Ordine capiscono che il regista del tentato sequestro è Vittorio Mangano. I Carabinieri fanno presente la scoperta al Cavaliere, ma il Berlusconi se ne frega, e non lo caccia neanche a seguito dei due arresti che, a distanza di un anno (dicembre 1974 e dicembre 1975), il fattore subisce, per reati commessi ai tempi in cui viveva, ed operava, a Palermo.
Nel maggio 1975 il Fattore piazza e fa esplodere una bomba all’ingresso della villa milanese del Cavaliere di via Rovani. Nel 1986, grazie ad un intercettazione telefonica, scopriremo che Berlusconi e Dell’Utri sapevano che l’esplosione fosse opera di Mangano: nel 1975 però non viene né denunciato, né allontanato.
Nell’ottobre del 1976 un giornale lombardo scrive che l’imprenditore Berlusconi ospita presso la sua villa un mafioso: ovviamente il mafioso in questione è Mangano. Il Fattore decide allora di abbandonare Arcore, ed alloggiare all’Hotel Duca di York di Milano, nonostante le insistenze di Confalonieri e Dell’Utri, i quali fanno di tutto per trattenerlo. Cambio di abitazione, ma non di professione, visto che continua a portare avanti la sua vera attività, ossia quella di capomafia nel nord Italia per quanto riguarda il traffico di droga, i rapimenti di persona e il riciclaggio di denaro. Intanto gli incontri con Dell’Utri continuano, e i due partecipano alla festa di compleanno, tenutasi a Milano, di Antonino Calderone, boss, numero due della Mafia catanese.
Nel 1977 Dell’Utri, a seguito di qualche screzio, abbandona l’amico Silvio, ed, insieme al fratello gemello Alberto, inizia a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, finanziere siciliano amico di Tanino Cinà, socio in affari con Rocco Remo Morgana, considerato da tutti l’uomo di don Vito Ciancimino. Tempo poco e le società gestite dai fratelli Dell’Utri (Marcello amministra la Bresciano Costruzioni ed Alberto la Venchi Unica, entrambi del gruppo Rapisarda) falliscono: Rapisarda, colpito da un provvedimento di arresto, riesce a scappare grazie ad un passaporto falso, con il nome di Marcello Dell’Utri, ed a raggiungere il Venezuela, dove viene ospitato dai Cuntrera-Caruana, cartello di narcotrafficanti. Alberto Dell’Utri viene arrestato e Marcello indagato.
Nell’aprile del 1980, il cofondatore di Forza Italia partecipa, insieme ai boss Di Carlo (in quel momento latitante), Cinà e Teresi, alle nozze londinesi di un trafficante di droga siciliano, nonché socio in affari di Stefano Bontade, Jimmy Fauci (un nome che è tutto un programma).
Un mese più tardi viene arrestato Vittorio Mangano per traffico di droga, il quale, dopo essere stato condannato al processo Spatola per associazione mafiosa, rimarrà in carcere per undici anni, periodo nel quale, ovviamente, non incontrerà Dell’Utri.
Nel 1983 il Cavaliere, colpito dalle continue minacce mafiose, anziché denunciare il tutto ai Carabinieri, prende la decisione di riassumere Dell’Utri per porre fine all’azione di Cosa Nostra, e lo promuove Amministratore delegato e Presidente di Publitalia, società del gruppo Berlusconi.
La presenza dell’amico Marcello però non ferma gli avvertimenti mafiosi: nel 1986 viene fatta esplodere un’altra bomba nella villa di via Rovani. Stando alla versione del collaboratore di Giustizia Antonino Galliano, l’attentato è organizzato dalla mafia catanese, che, d’accordo con Riina, vuole agganciare il Psi, sfruttando l’amicizia tra Berlusconi e Craxi, per le Elezioni Politiche del 1987, visto che la Dc non è riuscita a mantenere la promessa di fermare il Maxiprocesso. Il Cavaliere però nell’immediato non ha queste informazioni, ed inoltre ha saputo da alcuni Carabinieri che Mangano è di nuovo uscito di galera (cosa falsa, visto che uscirà nel 1991), quindi chiama Dell’Utri e sentenzia: “É Vittorio Mangano che ha messo la bomba”, l’ho capito “da una serie di deduzioni, per il rispetto che si deve all’intelligenza. […] Questa cosa qui, da come l’ho vista fatta, con un chilo di polvere nera, una cosa rozzissima, ma fatta con molto rispetto, quasi con affetto (una bomba fatta esplodere con affetto, interessante… Ndr) […] Un altro manderebbe una lettera o farebbe una telefonata: lui ha messo la bomba. […] Adesso mi spiace se da questo segnale acustico, i Carabinieri gli tolgono la libertà personale (d’altra parte che sarà mai piazzare una bomba in una villa? Ndr). […]”. Questa è l’intercettazione di cui parlavamo prima, dalla quale, nelle parti non riportate per motivi di spazi, si capisce che sia Dell’Utri, che Berlusconi e Confalonieri, sapessero che la bomba del 1975 l’aveva messa e fatta esplodere proprio Mangano.
Ad inizio 1990, la mafia compie diversi attentati contro la Standa, catena di supermercati allora appartenente al gruppo Fininvest. In queste settimane Marcello Dell’Utri compie una quindicina di viaggi a Catania, dove, secondo il pentito Maurizio Avola, incontra il boss Nitto Santapaola per convincerlo a porre fine agli attentati.
Due anni dopo l’allora presidente e Ad di Publitalia procura un provino al Milan al giovanissimo calciatore Gaetano D’Agostino (che attualmente gioca nel Pescara), figlio di Giuseppe, uomo dei fratelli Graviano. Ad impegnarsi per convincere Dell’Utri ad organizzare il provino è Melo Barone, uomo molto vicino al clan di Brancaccio (e quindi ai fratelli Graviano).
Nelle stesse settimane Dell’Utri prova a convincere il presidente della Trapani Basket, Vincenzo Garaffa (ex Senatore del Pri tra l’altro), a farsi dare indietro, in nero ovviamente, 750 milioni di Lire di una sponsorizzazione concessa da Publitalia per un ammontare complessivo di 1,5 miliardi. Garaffa si rifiuta di adempiere alla richiesta del Presidente e Ad di Publitalia, ed allora riceve la visita del boss Vincenzo Virga, che si presenta per conto di Dell’Utri (pronuncerà la frase “Mi manda Dell’Utri”) e minaccia il presidente della Trapani Basket per farsi dare quei 750 milioni. Il 20 giugno 2012 la Cassazione decreterà l’assoluzione di Senatore pidiellino e Virga perché secondo questa non si tratta di tentata estorsione, ma confermerà la versione dei fatti appena fornita.
Due anni dopo l’uscita dal carcere, Mangano torna ad incontrare il cofondatore di Forza Italia. Le agende di Dell’Utri ci raccontano di un paio di incontri avvenuti nel novembre del 1993: secondo quanto raccontato dal Senatore pidiellino, il mafioso lo volle incontrare per parlargli dei suoi problemi di salute. Dell’Utri però è laureato in Legge, non in Medicina, quindi la sua versione dei fatti risulta poco credibile.
Il pentito Salvatore Cucuzza invece ci racconta di altri incontri avvenuti tra i due sulla sulla villa di Dell’Utri sul lago di Como, sul finire del 1994, nei quali l’attuale Senatore pidiellino promette misure favorevoli alla Mafia nelle seguenti manovre di governo (manovre che non vanno a buon fine in quanto il governo Berlusconi I crolla nel dicembre 1994).
Nel 1998 la Dia di Rimini filma Dell’Utri durante un incontro con Pino Chiofalo, falso pentito che tramite le sue parole deve accusare i collaboratori di Giustizia per screditarli. Chiofalo patteggerà la pena ed ammetterà che Dell’Utri gli promise soldi in cambio delle accuse rivolte ai veri pentiti. A seguito delle parole del falso pentito, la Magistratura chiede l’autorizzazione all’arresto dell’allora Deputato Dell’Utri, ma la Camera vota no.
Nel 1999 il cofondatore di Forza Italia è candidato alle elezioni del Parlamento Europeo, e la Mafia si muove per fargli ottenere voti. Carmelo Amato, mafioso molto vicino a Bernardo Provenzano, viene intercettato mentre ordina ai suoi sottoposti: “Ci dobbiamo dare aiuto a Dell’Utri, perché se no questi sbirri non gli danno pace”. Dell’Utri viene eletto all’Europarlamento.
Alle Politiche del 2001 il braccio destro del Cavaliere si candida al Senato: Giuseppe Guttadauro, boss di Brancaccio, intercettato mentre parla con Aragona, rivela che Dell’Utri “alle Elezioni del ’99 ha preso degli impegni e poi non s’è fatto più vedere”. Giuseppe Guttadauro è il solito che non sapendo di essere intercettato ha spiegato bene come la campagna elettorale del 2001 di Cuffaro fosse finanziata dalla Mafia.
Indipendentemente da come vadano i processi sul concorso esterno e sulla Trattativa, i fatti sono questi e tali rimarranno. Questi nessuno può cambiarli nessuno. Le frequentazioni mafiose del Senatore pidiellino le ha confermate anche il collegio della Cassazione presieduto da Aldo Grassi, amico dell’Ammazzasentenze Corrado Carnevale.
Quando Berlusconi parla dell’amico Marcello, lo descrive come un brav’uomo perseguitato dalla Giustizia: brav’uomo perché “ha 4 figli (con la stessa logica di ragionamento Bin Laden era un Santo in terra, visto che di figli ne aveva 52, ndr)” ed è “un bibliofilo, un uomo molto colto”.
Sul fatto che il suo braccio destro sia molto colto ha ragione: come scrisse Montanelli, “Dell’Utri è un uomo colto, soprattutto sul fatto”…
simone.ferrali@gmail.com