Confessioni di un magnate del petrolio:“Ecco perché il capitalismo vince”

18 Settembre 2012
Germano Milite
Per leggere questo articolo ti servono: 9minuti

Ed eccoci qui, con la terza ed ultima parte di questa intervista-romanzo. Il resto spero di riuscire a svilupparlo preso in un libro da mettere poi in vendita su Amazon. Mi spiace molto aver perso, causa aggiornamento dell’area blog, tutti i numerosi (ed interessanti) commenti che avevo raccolto sotto le prime due parti che vi linko di seguito (parte 1 parte 2) ma sono certo che ci rifaremo con questa conclusiva e, magari, con coloro che leggeranno per la prima volta le altre due.

Anche per il nostro terzo appuntamento il signor P.T decide di ricevermi nel suo megaufficio dall’odore di sigaro e vecchi libri. Appena entro, mi saluta meno calorosamente rispetto alle altre due volte. E’ pensieroso e scattoso nei movimenti; come se stesse cercando qualcosa che sapeva già di non poter trovare.

“Oh bene: siediti e cominciamo che oggi non ho molto tempo. Mi fai qualcuna delle tue domande stupide per iniziare o preferisci partire con il mio esperimento”

Ed io, incuriosito:“Esperimento?”

“Si, un bell’esperimento per dimostrarti perché e come il capitalismo vince sempre”.

“Interessante. Ma questa volta cercherò di subire di meno la sua esuberanza cinica”, lo avvertii autoconvincendomi che non mi sarei fatto mettere sotto tanto facilmente.

Lui, visibilmente impaziente di umiliarmi e zittirmi per l’ennesima volta, liquida la mia sfida con un irrisorio “certo-certo” e mi chiede di prestargli l’Ipad.

“Vedo che usi quello per scrivere, very interesting. Non ci sono ancora abituato ma immagino che per te sia il contrario: probabilmente ti viene naturale non usare più la penna ed il foglio. Tu sei un tipo hi-tech, immagino”

Vede che tentenno e così mi sollecita:”Allora? Tranquillo che non me lo mangio. Al massimo te lo spacco” e ride.

Sorrido anche io, convinto che la sua fosse solo una battuta che non faceva ridere. Tiro fuori l’Ipad dalla sua custodia e glielo consegno. Lui lo prende in mano, lo rigira un paio di volte: “Mio nipote ha il 3. L’ha comprato appena è uscito. Tu hai ancora il 2?”.

“Si…”

“Meglio così”. Lo poggia sulla sua scrivania, sfiora lo schermo per togliere qualche granello di polvere e poi prende un tagliacarte da uno dei cassetti. In un lampo lo punta sullo schermo e comincia a lanciare pugnalate vigorose al mio povero tablet

Sono incredulo, non so cosa dire. D’istinto mi alzo dalla sedia. Mi si strozza in gola un “ma che ca…”. Lui, tranquillo come se mi stesse affettando il pane per la colazione, smette di accanirsi sui cristalli liquidi e posa il tagliarcarte. Poi mi guarda, scoppia in una fragorosa risata e dice:“Don’t worry, my friend. Ora risolviamo tutto”.

Sono pietrificato ma al contempo incuriosito. Cosa diavolo gli passa per la testa. P.T apre un cassetto e prende alcuni biglietti da 100 dollari. Poi li conta: “One, Two, Three, Four, Five…sixeseveneghtnivetenelevetwelve…good”.

Prende il piccolo malloppo verdognolo e me lo mette davanti:“Ecco my poor friend. Questi sono 1200 dollari in contanti. Puoi usarli per comprarti questo nuovo aggeggio appena hai finito con me e ti resterà anche qualcosina per il disturbo. C’è un Apple Store a due isolati da qui: è sempre pieno ma se passi verso le 19 trovi un po’ meno ressa”.

Non sapevo cosa fare, cosa dire; cosa pensare. Così mi aggrapo ad un:“Ma perché?”

E lui, sospirando:“E dai ragazzo. Non c’è quasi gusto se continui così, eh? Perché cosa? Sul serio non ci arrivi? Ora tu prendi questi soldi, vai all’Apple Store e ti compri un nuovo aggeggio. Fine dell’esperimento (riuscito)”.

E io, che a quel punto finalmente comincio a capire:“E questo dimostrerebbe che sono schiavo del capitalismo e bla bla bla? Beh lo trovo un po’ banale”.

P.T ride di gusto:”Ah ah ah…my friend ma la chiave è quella. La tua spocchiosa ingenuità mi disarma. Il capitalismo è banale. Voi siete banali e prevedibili. Quelli di Cupertino lo sanno e sfornano ogni anno un nuovo I-Phone ed un nuovo tablet già sapendo che tante scimmie ammaestrate si fionderanno a fare file chilometriche e a pagare 10 volte tanto l’aggeggio-feticcio del momento. Il capitalismo vince perché è istintuale, ragazzo, non certo perché è “elevato” o complesso. Nulla di troppo complicato si diffonde così tanto ed entra in maniera così profonda nel cervello e persino nell’anima della gente. Voi volete “ridistribuzione della ricchezza”, ma comprate prodotti realizzati con la schiavizzazione della gente e lo fate in continuazione, autogiustificandovi nei modi più fantasiosi e penosi”.

Sospiro anche io e mi arrendo definitivamente all’effetto rincretinente che quell’uomo hasu di me: “Si ma l’Ipad mi serve per lavorare, non è un acquisto modaiolo per me. Lo trovo molto utile. E poi cosa vorrebbe fare? Il progresso non si arresta”.

Lui si illumina in volto: “Il progresso non si arrest…ah ah ah” e ride per almeno 30 secondi. “Tu mi farai venire un crampo ai muscoli facciali ragazzo mio. Ma come? Dici a me certe cose? Ma se sono proprio io quello che affama bambini, uccide leader scomodi dei paesi del terzo mondo, specula con la storiella che il petrolio sta finendo in tutto il mondo, vive nell’opulenza e nel superfluo. Io sono quello che tu dici di combattere. Lo so bene che “il progresso non si arresta” ma ti svelo un segreto: questo “progresso” è possibile solo perché le iniquità per le quali ti scandalizzi esistono e sono crescenti. Se anche solo il 50% dei bimbi indiani che non hanno nemmeno acqua potabile da bere volessero fare la tua vita e comprare un Ipad o un I-Phone ogni uno o due anni, avremmo bisogno di almeno altri due pianeti come questo e di qualche miliarduccio in più di persone da ridurre alla fame. Rassegnati: il capitalismo che dite di odiare, voi lo amate con i fatti”.

Vedo il mio tablet distrutto e quei 1200 dollari sul tavolo e mi odio. Mi odio perché so che probabilmente li prenderò per comprare un nuovo Ipad. Mi odio perché so che sto per mettermi in ridicolo e che, se anche decido di non prendere quei 1200 euro e non acquistare nulla, niente cambierà se non per me. Passa probabilmente un minuto. Un interminabile minuto di silenzio, poi lui incalza: “Dimmi un po’, hai mai pensato a quanto sia difficile oggi risparmiare e non spendere tutto quello che guadagni? Il punto è tutto li: il 99% della popolazione è composto da gente che in proporzione decrescente e crescente consuma tutto quello che può. Gente che non vuole rinunciare al superfluo per il quale accetta una schiavitù da lavoro sempre più evidente e schiacciante. Il capitalismo in salsa neoliberista che viviamo oggi è un mostro ingordo ma, da quel che noto, non lo è ancora abbastanza per provocare la rivoluzione culturale che i pezzenti come te dicono di volere. Che poi dimmi na cosa: da quando avevi quel coso riuscivi a lavorare meno o semplicemente di più e meglio?”.

“In effetti decisamente non lavoro di meno…no. Anzi: sono molto più connesso di prima con il mio lavoro, anche quando sono in ferie”

“Ecco, lo vedi? Sei grato a chi ti fornisce una tecnologia che sicuramente sarà anche bella è utile ma che, in sostanza, ti schiavizza due volte. La prima perché devi lavorare 6 mesi per mettere da parte i soldi e comprarla. La seconda perché ti fa lavorare ancora di più. Poi fossi come quei beoti che fanno le file fuori agli Apple Store ad ogni lancio, ci sarebbe anche la terza sferzata dello schiavo moderno: quella del desiderio incessante di nuovo”

Lo guardo negli occhi per qualche istante e poi, d’istinto, con la bocca che si muove da sola, gli chiedo di nuovo: “Ma lei è felice?”. Speravo che la domanda vaga ed off-topic mi avrebbe garantito un po’ di tregua ma mi sbagliavo di grosso.

“Vuoi sapere se io sono felice? Mi costringi a ridere ancora di gusto, ragazzo. Che senso ha la tua domanda? La poni sperando che io ti risponda con il clichè rassicurante de “i soldi non fanno la felicità?”. Sai, quando uno come te fa una domanda simile ad uno come me, è perché tenta disperatamente (e goffamente) di trovare una via di fuga alla propria frustrazione ed un po’ di pace per l’invidia che prova. Poi, allo stesso tempo, voi pezzenti, se qualche miliardario si dice o dimostra depresso e insoddisfatto, v’incazzate e v’indignate. Insomma: ci volete infelici ma non tollerate la nostra infelicità quando la confessiamo. Eppure lo dovrebbero sapere tutti: quasi sempre sono l’intelligenza e la sensibilità che rendono l’uomo infelice, non tanto i beni che possiede e i soldi che ha in banca. Quindi direi che se non sono bastevolmente felice, è perché sono mediamente molto più sveglio di coglioni come Dick Chaney. Ho studiato antropologia, psicologia sociale, storia, economia e letteratura. L’ho fatto per curiosità, vanità intellettuale e noia ma il leggere tanto mi ha reso ovviamente più consapevole e, quindi, potenzialmente meno alleggerito dal peso della conoscenza. Se non avessi avuto tutti i soldi che ho, probabilmente mi sarei suicidato piuttosto che fare la vita del borghesuccio medio”

Decisamente: P.T era un uomo che ti manteneva sempre diviso a metà tra l’odiarlo a morte e l’ascoltarlo odiando non poco anche te stesso. Ad un tratto, mentre lo sentivo parlare, pensai che incredibilmente di petrolio ne avevamo discusso quasi zero. Eppure sono dollari e greggio a muovere il mondo e lui era multimilionario grazie ad entrambi. Dovevo svegliarmi e fargli qualche domanda sul suo business. Era ancora immerso nella sua maratona cinica ed autocelebrativa quando lo interruppi: “Si ma il petrolio? Non ne abbiamo proprio parlato”

Lui si ferma di colpo e si fa scrocchiare il collo. “Il petrolio? Ah finalmente uno spunto degno di nota. Beh è ancora il centro del mondo, ragazzo. Insieme ai dollari ovviamente. Abbiamo trucidato e fatto trucidare milioni di individui per avere il controllo dell’oro nero ed assicurarci che a nessuno venisse in mente di venderlo usando quello stramaledettissimo euro o qualsiasi altra moneta che non fosse la nostra”.

A quel punto, ricordandomi di Gore Vidal e delle sue previsioni sulle politiche belliche americane del primo decennio del 2000, domandai: “Iraq ed Iraq confermano, giusto?”.

E lui, senza scomporsi: “Si, direi di si. Saddam nel 2000 si era messo in testa di aggirare l’Oil For Food imposto dalle Nazioni Unite per vendere greggio in euro. Considerando quanto petrolio aveva quel bastardo, era inevitabile detronizzarlo, catturarlo ed impiccarlo alla nostra maniera. Idem per quell’altro pazzo di Ahmadinejad e per il suo piano di rivendita di idrocarburi e oro nero in euro ed altre monete credibili. Considerando i giacimenti enormi rinvenuti sull’isola di Kish, nel Golfo Persico, non possiamo certo rischiare altre idee eversive come quelle di Saddam. Certo gli europei sono troppo pavidi e poco falchi per capire l’importanza del petrolio venduto in euro e non più in dollari ma, in ogni caso, quel pistolero di W. Bush pensò di non correre alcun rischio. Con Teheran però è un po’ diverso. La prossima volta che ci vediamo ti spiego perché. Ora devi mollarmi e andare a comprare il tuo Ipad”.

Mi congeda ed insiste fino allo sfinimento per farmi prendere quei 1200 dollari. Alla fine arriviamo ad uno stupido compromesso: ne prendo solo 800 e cioè quanto esattamente valeva l’Ipad 3 da 64Gb con Wi-Fi e tutte le altre diavolerie del caso. Chiedetevi voi al mio posto cosa avreste fatto e, se la risposta non vi piace, rifletteteci.

Intanto ho deciso: questo è il terzo ed ultimo “episodio” che scrivo sul mio blog personale di YOUng. I prossimi li raccoglierò in un libro (che per metà è già scritto) e li pubblicherò come ebook su Amazon. E voi, se avete domande, sparate pure.

L'AUTORE
Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".
SOSTIENI IL PROGETTO!
Sostienici
Quanto vale per te l’informazione indipendente e di qualità?
SOSTIENICI