Marco Maestrelli, dopo "Saranno Famosi" il debutto con un libro di poesie

7 Settembre 2012
Rosa Anna Buonomo
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560454 10151752126370077 1419698067 nE’ stato tra i protagonisti della prima edizione di “Amici di Maria De Filippi”, quando il programma si chiamava ancora “Saranno Famosi”. Concorreva come attore, ma decise di lasciare la trasmissione. Dieci anni dopo Marco Maestrelli Crespi, classe 1982, torna sotto i riflettori con un libro di poesie: “Come di notte le voci delle cose”. Una poesia, la sua, che ha “sete di dettagli” e “fame di inutili risposte”. Tante le passioni che colorano la sua vita, a cominciare dallo studio per il canto lirico, come ha raccontato a YOUng.

Qual è stato il percorso che ti ha portato dalla recitazione alla scrittura?

Credo tutto nasca dal fatto che non ho mai amato definirmi in un unico ‘ruolo’ o in un’unica professione. Prima della recitazione c’è stato il canto lirico, dopo la recitazione la scrittura.

Per me si tratta di diverse sfumature di un’unica urgenza umana: la comunicazione, la connessione con gli altri. Se mi sentissi isolato dal mondo che mi circonda, se avessi la sensazione di non contribuire in qualche modo al circolo virtuoso delle emozioni allora penso che potrei implodere E l’implosione è un meccanismo dannoso.


Hai preso parte al programma “Saranno Famosi” condotto da Maria De Filippi, alla sua prima edizione. Perché scegliesti di abbandonare la scuola e cosa ti ha dato quell’esperienza?

Ho abbandonato il programma con amarezza ma profonda convinzione. Si trattava di un format che non corrispondeva alle mie esigenze, al mio modo di vivere la recitazione.

Indubbiamente, come tutte le esperienze, ha contribuito molto alla definizione della mia personalità, sia dal punto di vista professionale che privato. Non rinnego nulla, riguardo le foto e i filmati dell’epoca con tenerezza. Non sono allergico alla televisione, non faccio parte di quella schiera di puristi radical-chic che la combatte come fosse il male del secolo.

Il problema non è mai il mezzo ma come il mezzo viene utilizzato. Purtroppo, in merito ai format televisivi, credo che negli ultimi anni si stia assistendo a un degrado senza paragoni, una sorta di esaltazione della mediocrità. Sogno un momento in cui i giovani possano essere autori della televisione che vogliono e non vittime più o meno consapevoli.

Com’è nato “Come di notte le voci delle cose”?

E’ nato dall’urgenza di cui parlavo prima, quella di lasciar fluire fuori da me i miei pensieri, i ricordi, le sensazioni. Inizialmente si è trattato di un processo personale, una sorta di diario, un modo per mettere la vita su carta e guardarla dall’esterno. Poi è arrivata l’opportunità di pubblicare e non ho resistito. La vera gioia è ricevere ogni giorno le e-mail dei lettori: molti mi scrivono della loro vita, mi parlano come se mi conoscessero da tempo, mi ringraziano per aver suscitato in loro una riflessione, per aver premuto un tasto che credevano muto. Io mi sento onorato e penso di aver fatto qualcosa di buono. E’ una grande fortuna.

Ci sono autori che ti hanno ispirato?

Ho scritto di getto, le mie poesie nascono da una frenesia emotiva perciò non ho mai pensato a riferimenti specifici. Ma amo alcuni autori che sicuramente, in modo inconscio, hanno influenzato la mia scrittura e il mio modo di rielaborare le emozioni. Penso a Paul Verlaine, Sylvia Plath, Arthur Miller, Emil Cioran e agli eterni classici che mi hanno affascinato, in primis Alighieri, poi Leopardi, Foscolo, Carducci e D’Annunzio.


Quando hai iniziato a coltivare la passione per la poesia?

Credo da sempre. Da piccolo le leggevo, le imparavo a memoria, le cantilenavo quasi fossero dei mantra. La poesia somiglia molto al mio modo di “sentire”: immediato, istintivo, sintetico. Vivo di flash, di attimi brevi, di fuochi.


A chiudere la raccolta è una poesia scritta da tuo padre Giuliano.

Un padre che non ho più da molti anni, è mancato 15 anni fa. Un uomo complesso, per certi versi di difficile comprensione. Una figura da metabolizzare nel tempo. La scelta di usare una sua poesia alla fine del libro ha un valore catartico per me: chiudere un cerchio, dare un senso, fare pace con il passato e con le sue ombre.

Il libro è in vendita in versione e-book sul sito Barnes&Noble ed è disponibile su Amazon UK e Amazon France. Com’è stato accolto il tuo lavoro all’estero?

Quando ho avuto la comunicazione dell’inserimento del mio lavoro mi sono sentito per un attimo sopraffatto. Poi ho dato spazio alla felicità. L’idea di poter raggiungere gli italiani all’estero e di contribuire a mantenere saldo il legame con la terra d’origine e la sua cultura mi riempie di entusiasmo. L’italianità per me è una caratteristica primaria, un valore fondante. E la risposta al mio lavoro dall’estero è sempre più concreta e giornaliera. Pochi giorni fa dialogavo via mail con una lettrice italo-americana che vive in Texas. Mi scriveva di come il mio libro per lei avesse rappresentato un ritorno alle origini, lo faceva con una partecipazione emotiva così forte tanto da commuovermi. Non sono stato favorevole fin da subito alla diffusione del formato e-book, poi ho ceduto e mi sono innamorato di questa possibilità. Ho scoperto quanto possa essere potente nella rottura dei confini geografici. E’ un privilegio dei nostri giorni e io lo accolgo a piene mani.

Il tuo futuro: cosa ci vedi? La scrittura, il palcoscenico o entrambe le cose?

Penso di rado al futuro. La proiezione nel tempo mi spaventa, mi crea un senso di aspettativa a cui non voglio cedere perché mi sono educato a vivere il presente che è l’unica dimensione reale della nostra esistenza. Il tempo è adesso. Ma se devo dare uno sguardo dietro l’angolo del domani spero di poter continuare a non intrappolarmi in nessun ruolo, a non sabotare la mia voglia di esplorare tutti i territori. Non mi voglio annoiare, non voglio smettere di stupirmi. Mi sono appena accorto di soffrire della Sindrome di Peter Pan. Aspetta, faccio uno squillo all’analista…

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