Duetto canoro Battiato-Travaglio: quando l'eclettismo diventa peccato
Editoriale di Maria Melania Barone
Da Travaglio giornalista, al Travaglio attore, poi teatrante ed ora anche cantante. Sì, perché il buon Marco, dopo aver imitato Battiato alla trasmissione Victor Victoria, ha preferito duettare sul palco proprio con il cantante siciliano. “L’era del cinghiale bianco” è la canzone scelta dai due irriverenti intellettuali che si sono esibiti dinanzi al Foro Italico.
Marco Travaglio, il montanelliano per eccellenza, ha ricevuto severe critiche da parte di colleghi giornalisti. Come l’articolo sull’Unità, senza firma, che racconta proprio dell’ultima esibizione canora. Qui l’eclettismo viene presentato come una pecca, come qualcosa che inficia la qualità e la garanzia di un certo lavoro intellettuale e che, soprattutto, mina alle fondamenta dell’essere giornalista.
La domanda che tutti si pongono è: si fa teatro o giornalismo? Bisognerebbe invece chiedersi: quali sono le funzioni del teatro e quali quelle del giornalismo? La storia del teatro pullula anche di rappresentazioni permeate da una spettacolarità sottile. Le grandi rivoluzioni del teatro del ‘900 infatti, contemplano letture e rappresentazioni che oscillano tra il giornalismo e la satira. Del resto è l’individualismo dell’attore ad arricchire il teatro stesso come ci ha insegnato Eugenio Barba, fondatore dell’Odin Teatret di Oslo.
Ma cosa può escludere che il giornalismo non possa fondersi con lo spettacolo? Una domanda d’obbligo che nasce spontanea sfogliando proprio le pagine del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e diretto da Claudio Sardo. Ed è nel leggere i titoli sensazionalistici presenti su tutti i giornali, velleità da cui non è estraneo proprio nessuno, che le parole scritte su l’Unità diventano ipocrisia. Il giornalismo vive già di spettacolo, perché dovrebbe diventare una colpa ufficializzarlo?
Travaglio e Battiato duettano insieme dinanzi al Foro Italico (VIDEO)
Ma pur volendo tralasciare il teatro, le critiche a Travaglio non sono finite. Cristiano Boni scrive sempre su l’Unità: “Chi ha a cuore lo Stato di diritto rispetta le sentenze, anche quando le critica. La delegittimazione preventiva non è diritto di critica: è berlusconismo allo stato puro“. Insomma, una critica che tocca da vicino l’eclettico montanelliano: a tratti pedante, a tratti superflua. Sì perché in fondo, anche stavolta mi viene da dire: ma cosa c’è di male se Travaglio ha preferito tirare fuori una critica al comportamento di Berlusconi nei confronti dei giudici “comunisti” che hanno indagato e sentenziato su di lui?
Così i lettori spiazzati commentano: “Travaglio fa paura agli sceicchi del PD che hanno venduto la sinistra per un pezzo di bunga bugna” – e ancora – “E’ veramente un articolo pessimo, vuoto di contenuti e pieno soltanto di rancore meschino… che fine ha fatto l’Unità? A quando articoli seri e non sempre confezionati per aggredire qualcuno che non è (o non è più) gradito?“.
E proprio quest’ultimo commento apre uno spiraglio che ci ricorda di quando Travaglio era una delle firme più lette de l’Unità. All’epoca però il Direttore responsabile era Concita de Gregorio.
Potrei rammaricarmi anche io nel vedere il montanelliano non trattare di questioni importanti, ma non posso avallare le tesi sentenziose di questi miei rispettabili colleghi. Non c’è niente di male a fare spettacolo, non c’è niente di male nel rendere il giornalismo satira teatrale, non c’è niente di male nell’usare il teatro come mezzo di diffusione e affidargli nuovamente quella sua funzione pubblica ormai perduta, nel renderlo megafono di una critica politica rivolta alla comunità e al popolo. Vogliamo forse fermarci alla commedia dell’arte? Vogliamo limitare il teatro a sketch futuristi o alle maschere di Pulcinella?
Compito del giornalista è fornire una buona informazione essendo consapevoli di influenzare l’opinione pubblica. L’eclettismo è solo una marcia in più: criticarlo ci rende retrogradi ed anche un poco ambigui.
Intanto lodo l’irriverenza di Travaglio con cui condivido la passione per Battiato. E se la parrucca indossata a Victor Victoria gli ha donato un’aria un pò british da lord inglese lanciandolo sul piccolo schermo, allora mi vien da pensare che l’imitazione di Mark Knopfler potrebbe aprirgli le porte ai grandi stadi.