Ludmilla Radchenko, da "Passaparola" alla Biennale di Venezia

7 Giugno 2012
Rosa Anna Buonomo
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IMG 6471 copiaChi la ricorda semplicemente come “letterina” nel programma “Passaparola” dovrà presto ricredersi. La showgirl siberiana Ludmilla Radchenko, messi da parte gli stacchetti televisivi, la partecipazione al reality show “La talpa” ed esperienze da attrice, è tornata da qualche anno al suo primo, grande, amore: la pittura.

Bellissima nella sua semplicità, occhi di ghiaccio e simpatia travolgente, Ludmilla racconta ai lettori di YOUng della sua passione per il mondo dell’arte. Un percorso che parte da lontano e che l’ha fatta arrivare a esporre in location prestigiose come la Biennale di Venezia.

Ti sei distaccata dal mondo dello spettacolo per dedicarti all’arte. Cosa ti ha portato a maturare questa decisione?

La scarsa qualità dello spettacolo recente. Mi sono sentita senza un ruolo preciso, ed essendo ambiziosa quello per me è indispensabile. Allora mi sono rivolta ai miei contenuti e capacità, ma soprattutto agli studi che ho fatto prima di venire in Italia: la mia laurea in Design di moda. In parte è stata un’idea di mio nonno, che credeva fortemente nella mia creatività.

La tua personale “Pop Up”, in esposizione fino al 20 maggio scorso per circa un mese al Palazzo del Monferrato di Alessandria è un chiaro richiamo alla Pop Art di Andy Warhol. Quali sono gli artisti che ti hanno ispirata nel tuo percorso?

A scuola copiavo Gauguin e Van Gogh, mi piacevano Dalì per il senso della composizione e Marc Chagall per i suoi colori. Quando ho capito che la Pop Art era la mia corrente, però, mi sono innamorata di Lichtenstein e Rauschenberg. Warhol mi piace per la sua intraprendenza e Rotella per l’effetto estetico. Nessuno prima riusciva a percepire la bellezza estetica e intrinseca di un cartellone strappato. Io ho fatto tesoro di quel tipo di percezione e la uso molto nelle mie opere.

Con la Pippi Calzelunghe di “Better world” affronti la piaga della pedofilia, mentre in “God, save my shoes” alla Venere di Botticelli che indossa scarpe da ginnastica alla moda fa da sfondo la gigantografia di un permesso di soggiorno. Da dove nasce il desiderio di dedicarti alla critica sociale e come sei arrivata alla corrente del Pop Realism?

Nell’epoca della Pop Art si tendeva a rinunciare al tratto pittorico classico e si puntava a rendere protagonisti gli oggetti o i volti, la loro presenza era fine a se stessa e il loro significato era dato da ciò che loro stessi significavano per chi osservava l’opera.

Io a un certo punto ho sentito la necessità di esprimere la mia visione critica del mondo reale e del significato degli oggetti, delle immagini e dei volti. Sono diventati un mezzo per creare una chiave di lettura del mio racconto e anche un punto di vista. Così Pop è diventato Pop Realism, una corrente che si nutre di problemi attuali, veri e concreti. Come il permesso di soggiorno, per cui ho lottato in una maniera assurda e per cui migliaia di persone stanno ancora lottando.

La Venere che mette le Sneakers per proseguire il suo cammino e che si vergogna per quello che è diventata l’Italia, la Pippi Calzelunghe circondata dal mondo di consumo, dall’ombra del sacerdote che rappresenta la distorsione dei valori culturali e la presenza della pedofilia anche nel luogo che dovrebbe rappresentare la purezza assoluta e la prostituta in un altro angolo che rappresenta il cerchio viziato dei rapporti sociali in genere.

Alla Biblioteca di Alessandria hai portato, invece, “Woman Been”. Qual è per te il ruolo della donna nella società di oggi?

Adoro questa domanda, anche perché ora so rispondere in modo lucido. Oggi per me essere donna è trovare se stessa. Rappresentando in parte la mia generazione mi sento responsabile di diventare anche un punto di riferimento per qualcuna che non si è ancora trovata. La donna è portatrice dei valori nella società, è lei che cresce i figli, è lei che si fa conquistare dagli uomini, è lei che diventando indipendente dà il suo enorme contributo alla cultura e storia che continua il proprio percorso. Una donna pulita, sana, determinata, autonoma, che ama applicarsi e spendersi nel proprio lavoro, una donna sognatrice, una donna che non si butta via e si sa rispettare, una donna coraggiosa e dolce nello stesso momento, una donna fedele all’uomo che sceglie per sé, che sa amare con tutto il cuore e combatte per quello che le appartiene, una donna che è degna di essere ammirata.

Quanto è stato difficile imporsi al pubblico come pittrice, svestendo i panni della showgirl a cui gli italiani erano abituati?

A volte è difficile far capire alle persone che quello a cui erano abituati prima è mutato con il tempo. Per la gente è più facile vedermi nei panni della letterina perenne anche se sono passati più di dieci anni. Ma dopo il burrascoso periodo di Bunga Bunga che per fortuna ha fatto scoperchiare tante pentole, secondo me sono state premiate quelle che non erano coinvolte nei giri loschi, tra la droga, il potere e i favori sessuali. Quel mondo non mi è mai appartenuto e sono felice di poterlo dire a testa alta. Di certo la strada che ho scelto è una roccia da scalare dove non funzionano le raccomandazioni, anzi devi tirare fuori la tua personalità che copre di gran lunga il tuo aspetto fisico. Molto meglio mettersi una tuta completamente incrostata di colore e raccontare il mondo come lo vedi. Il segreto nell’arte è non smettere mai la tua ricerca e andare avanti a piccoli passi, costruire il tuo percorso da formichina.

Meglio la vita dell’artista o della showgirl?

La vita da showgirl era bellissima per la ragazzina che ero, il paese delle meraviglie! Ora tutto è cambiato, quel mondo non è realtà e non sono più una ragazzina. Devo rimboccarmi le maniche per sentirmi utile e soddisfatta di me. Ma la soddisfazione che ricevo da questo lavoro non può paragonarsi al mondo delle favole. Sentirsi appagata e apprezzata per quello che fai è meraviglioso e mi commuovo ogni volta quando le persone guardano prima le mie opere e poi mi trasmettono il loro rispetto.

Hai esposto alla Biennale di Venezia e in città come Roma, Milano e New York, per citarne solo alcune. Quali i tuoi prossimi impegni?

Mi sembra incredibile che tutto questo sia stato fatto in così breve tempo. Sono appena tornata da Miami con il mio fidanzato (Matteo Viviani de “Le Iene” ndr) che mi ha accompagnata, sono al settimo mese di gravidanza, e ho già accordato la mia partecipazione a una mostra collettiva dedicata alla Marilyn oltreoceano. Affrontare questo mercato per me è fondamentale. Poi a giugno esporrò anche a Monaco, a Pietrasanta, a Roma. L’ultima tappa prima di diventare mamma sarà Desenzano. Da quel momento in poi mia figlia diventerà l’impegno principale. A fine agosto ci sarà una personale a Venezia durante il Festival del Cinema e a settembre una mostra importante al Museo Mazzucchelli di Brescia in collaborazione con Elio Fiorucci e a cura di Raffaella Caruso.

Alla fine sono così, sempre all’ultimo respiro. Come dice una canzone di Madonna: “If you wanna be a top, if you do never stop”.

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