Confessioni di un killer: Oreste Spagnuolo, così ho imparato ad uccidere

17 Maggio 2012
Marco Miggiano
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oresteLa copertina è emblematica: una pistola e una tazzina di caffè poggiate su uno sfondo di colore rosso, rosso sangue. Questi tre elementi simboleggiano la vita di un killer e racchiudono, in un’unica immagine, tutto il senso del libro “Confessioni di un killer. Oreste Spagnuolo: così ho imparato ad uccidere”, presentato ieri alla Feltrinelli di Caserta.
Questi tre elementi rappresentano la quotidianità, l’apparente normalità, la classica vita di un killer che opera nella zona di Castel Volturno in provincia di Caserta. Una vita trascorsa tra rapine, cene e feste segrete, tra esecuzioni ed estorsioni, qualche caffè con gli amici preso in qualche bar pochi minuti prima di partire per freddare il prossimo obiettivo. Un uomo “che ha sbagliato”, un imprenditore che non vuole cedere al pizzo, un “negro” che spaccia fuori dal sistema. Sparare ed uccidere o estorcere denaro per professione, una professione come le altre, solo che lo stipendio ha tanti, ma tanti zero.


Sfogliando le pagine del libro è sconcertante leggere con quale facilità, con quale tranquillità, fermezza e fierezza, il killer pentito Oreste Spagnuolo parla della propria vita, dei suoi “lavori”, delle sue conoscenze con il mondo della criminalità, raccontando anche alcune verità scomode, come per esempio il presunto pizzo chiesto al regista Garrone per le riprese del film “ Gomorra” o le amicizie con i Servizi Segreti italiani di Michele Zagaria.
Lui, napoletano tra casalesi, si è raccontato apertamente, ha voluto descrivere parte della sua vita, non per trovare giustificazioni o un perdono, ma per un semplice motivo: “Voglio che i ragazzi come me sappiano con chi hanno avuto a che fare”. Un racconto senza censure, vero e drammatico che può essere utile a tanti.


Il suo racconto è stato raccolto da una sua vicina di casa; Oreste Spagnuolo, killer dei casalesi, era infatti originario del Vomero quartiere bene di Napoli, come originaria della stessa zona è anche Daniela De Crescenzo, la bravissima giornalista che ha scritto questo libro, dopo essere stata contattata dai legali dello stesso Spagnuolo.
Cronista del quotidiano “ Il Mattino” e membro del comitato scientifico della rivista “Narcomafie”, Daniela De Crescenzo ha già pubblicato diversi libri che raccontano la camorra che non si nasconde, quelle fa il botto, la camorra che usava le armi per farsi sentire; uno su tutti “ ‘O cecato. La vera storia di uno spietato killer”, ovvero la vita di Giuseppe Setola, capo indiscusso del gruppo armato di cui anche Oreste Spagnuolo faceva parte.
In questo libro, come anche nel precedente, Daniela De Crescenzo non ha offerto la sua penna per mostrare le nascoste qualità umane di un killer pentito o per organizzare una operazione di maquillage, come spiega anche nella introduzione del suo lavoro. La storia, che parte dal carcere nel quale Oreste Spagnuolo si trova nella lontanissima Aosta, è semplicemente un racconto di fatti, di omicidi, di tremende ed assurde storie di una ordinaria follia quotidiana nella quale quel bambino del Vomero si è trovato non per caso, ma perché voleva esserci, perché come lui stesso afferma “Io ero sbagliato”. Uccidere per essere rispettato, per camminare a testa alta, per comprarsi vestiti firmati, per provare una sensazione di onnipotenza, per sentirsi parte di un tutto, di quel sistema chiamato camorra. Il primo furto a dieci anni, con un amico, proprio nel rispettato ed elegante quartiere del Vomero, alla Standa, due radioline. Una famiglia borghese, madre e padre infermieri, brave persone, che dopo quel primo furto lo “riempirono di mazziate”. Ma quegli schiaffi non sono serviti ad educare un ragazzo che forse, inconsapevolmente, con quel piccolo furto, aveva già segnato la sua vita; una vita che lo porterà prima ad una apparente onnipotenza, un uomo invincibile, immortale, poi alla latitanza fino all’arresto, con la conseguente decisione di collaborare con lo Stato. Scelta che gli ha fatto ritrovare l’onore perso.


Inutile chiedersi come e perché un ragazzo nato in una famiglia rispettata e lavoratrice, sia poi diventato prima un rapinatore di prostitute e di “negri” che abitavano a Castel Volturno, località nella quale si trasferì dopo i 10 anni con la famiglia dovendo appunto lasciare la casa nel quartiere del Vomero, e poi un killer di professione. Le teorie sulla devianza criminale sono infinite ed ognuna avrebbe un perché diverso. Importante da sottolineare sono invece le paure, le sofferenze, la solitudine che un uomo, braccio armato dei casalesi, fa trapelare in maniera chiara ed inequivocabile nel corso della storia, fino quasi a sciogliersi quando parla della famiglia, tutti sotto protezione, della figlia che non vede mai, di suo fratello e di sua sorella che non l’hanno mai perdonato.
Questo, infatti, è il più grande insegnamento del libro: da un lato raccontare sì le azioni e le stragi di un killer, ma evitando la facile spettacolarizzazione delle stesse, dall’altro affermare anche la sua inconcludenza, la sua inutilità, la sua vita gettata al vento solo per seguire le orme di qualche presunto boss o malavitoso che è riuscito ad attirare l’attenzione di un ragazzo semplicemente forse difficile, troppo vivace, che ha preferito ascoltare i richiami dei soldi facili, piuttosto che studiare per diventare elettricista. Elettricista sì; null’ultima pagina del libro, forse la più intima, la più sofferta da raccontare, Oreste Spagnuolo racconta che, se un giorno uscirà dal carcere, vorrà provare a fare l’elettricista, ad avere una vita normale, un lavoro normale.


Questo libro, che si legge in maniera facile e semplice ma allo stesso tempo è spietato e carico di troppe verità scioccanti, avrà svolto pienamente la sua funzione se riuscirà a far cadere quel fascino che la camorra e il suo stile di vita suscita su una certa parte di giovani, su una parte di società convinta che con la camorra si debba convivere; se davvero riuscirà a far cadere quel silenzio e quell’omertà che hanno portato la provincia di Caserta a trasformarsi da paradiso ad un inferno, una provincia che considera la camorra come una realtà endemica, parte del proprio DNA, violentata sistematicamente da un mix di camorra e mala politica che hanno distrutto qualsiasi sogno e speranza per giovani e meno giovani.

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