Rita Levi Montalcini. 103 anni e l'entusiasmo di una ragazzina.

10 Aprile 2012
Redazione YOUng
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DI LUCIO GIORDANO




Persone cosi ti tolgono il fiato.



Quando l’intervistai, pensai:



 1) Incredibile quanta energia abbia.



 2) Se la clonassero il mondo sarebbe migliore



 



Roma, le sei di sera di una fredda giornata di aprile. Rita levi Montalcini, premio nobel per la medicina nel 1986 grazie agli studi sul fattore di crescita nervoso,  entra a passo svelto nella sala conferenze della fondazione intitolata a suo padre, dove l’attendo per l’intervista. Mi saluta con un sorriso dolcissimo,  disarmante. E subito, con estrema disponibilità e fare energico, chiede al fotografo dove mettersi in posa.

      La professoressa, come la chiamano le sue sei collaboratrici,  ha una figura esile, è vero. Ma sembra un filo d’acciaio, per quanta energia mette in quello che fa. E non lo diresti proprio che questa donna, orgoglio d’Italia, stia per compiere cento anni. Lo farà il prossimo 22 aprile. E, per sua stessa ammissione, lavora più adesso, di quando aveva vent’anni perché “ sono riuscita a non mandare mai il cervello in pensione”. Sembra facile. Almeno per lei, che ha

ha appena lasciato il  laboratorio dell’istituto europeo per la ricerca sul cervello, fondato anni fa, dove per tutto il giorno ha lavorato ad una nuova scoperta scientifica. Una scoperta segreta, della quale  anche la sua collaboratrice da quarant’anni, Giuseppina Tripodi, sa poco: “ Si scopre ogni giorno”, mi spiega fiera mentre il fotografo completa gli ultimi scatti. Giuseppina esclama: “ Anche oggi hai sperimentato qualcosa di nuovo, non posso crederci”. “ Tu non c’eri, non puoi saperlo”, la riprende la professoressa. Ma non è un rimbrotto. Il tono infatti  è zuccheroso. E traspare  stima immensa e profondo affetto  per questa amica, figlia, sorella, collaboratrice. 

       La Levi Montalcini, elegantissima,  veste di nero,  un colore che  la ‘sfina’ ancora di più. Si siede. Sospira. Mi avverte con  sguardo dolcemente birichino: “  Parli forte che non sento bene”. Forse sarà cosi, anche se la professoressa dà  l’idea di sentirci benissimo. Quel che è certo, invece, è che la sua  mente è lucida, l’eloquio fluente. Senza incertezze. La fisso a lungo, prima d’iniziare con le domande. Mi chiedo dove abbia nascosto i suoi cent’anni. Anche le sue rughe, infatti,  hanno il sapore della giovinezza. “Già sa come festeggerà il secolo di vita, signora?” La Montalcini, scuote la testa. Dice: “ Preferirei non  festeggiare. Per me quello  è un giorno come un altro. Ma mi hanno già invitata a tre feste:   Roma,   Torino e  Saint louis, capitale del Missouri, Stati Uniti. Non posso mancare. Cosi  Il 22 sarò sicuramente nella Capitale, il giorno dopo in Piemonte. E il 25 volerò in America”. “No, il 25 hai una conferenza proprio a roma”, le ricorda Giuseppina. E lei: “ Va bene, allora spostiamo Saint Louis alla settimana successiva”.

    Da non crederci: energia allo stato puro. Tra studi in laboratorio, libri, convegni, attività della fondazione, la professoressa, senatrice a vita dal 2001, 8 lauree honoris causa più quella vera in medicina conseguita nel 1936 , non ha un attimo di tempo. In barba a quel politico di destra, Francesco Storace, che nell’ottobre del 2007 contestò l’apporto del premio Nobel alla stabilità del secondo governo Prodi, ironizzando sull’età della Signora e suggerendo di fornirla di un paio di stampelle  per presentarsi alle  sedute in  senato, . Domando:  “E’ ancora arrabbiata  con quel signore, Professoressa?: “ E perché dovrei? Le cose importanti nella vita sono altre, ”, risponde  la Montalcini  con un sorriso sornione.

   Ad esempio il nuovo libro,  l’undicesimo, scritto ancora una volta con la collaborazione di Giuseppina Tripodi ed intitolato le tue antenate: una carrellata di donne pioniere nella società e nella scienza, dall’antichità ai giorni nostri. Settanta donne  che hanno vinto i pregiudizi della società in cui vivevano e hanno contribuito con le loro scoperte o i loro atti coraggiosi, al progresso dell’umanità: “ la mia preferita è Emily Nathalie Noether una grande scienziata tedesca perseguitata dal nazismo,  che con i suoi studi diede una svolta alla concezione dell’algebra moderna. Ma potrei anche citarle Madame Curie che scoprì il radio, un metallo che ella stessa  per prima sperimentò nella terapia dei tumori”.

     Lo dedica  a tutte le bambine del mondo, La Levi Montalcini, questo libro, “ Perché  l’ambiente e la società hanno creato delle differenze che non sono genetiche. Le donne hanno infatti la stessa intelligenza degli uomini, lo sappiano bene le nuove generazioni. Però  in passato solo le nobili avevano accesso all’istruzione, mentre tutte le altre venivano tagliate fuori e sono morte senza conoscere il privilegio della cultura. Io pur non portando alta  la bandiera del femminismo ho combattuto questa ingiustizia sociale per tutta la vita ”.

     Anche lei, torinese di nascita,  è cresciuta in una famiglia vittoriana: un padre ingegnere, severo e autoritario, una madre pittrice che nascose in un cantuccio tutte le proprie aspirazioni artistiche per dedicarsi ai figli. “ Da piccola, ricorda come fosse ieri la signora, rispettavo e temevo mio padre, ma il bene era tutto per mia madre”. Lo scandisce senza indecisioni, questo concetto. Come a voler sottolineare ancora una volta la sua chiarezza di idee. Eppure questo padre austero non le negò di dedicarsi agli studi scientifici, una passione che la portò a conquistare il premio nobel. “ A papà glielo dissi subito: voglio studiare. E non mi sposerò mai”. 

    Cosi fece, la Levi Montalcini: studi sul sistema nervoso: “ Il mio matrimonio, è stato con i libri, dice carezzando la copertina di un saggio sul cristianesimo, e se oggi mi chiedessero di barattare la mia vita di scienziata con un grande amore, dei figli, rifiuterei: per quella vita bisogna esserci portate. Io evidentemente non lo ero. E poi  conciliare l’impegno professionale con la famiglia, per noi della vecchia generazione era praticamente impossibile”. Lo dice senza nostalgia, senza rimpianti, come se guardasse ancora avanti la professoressa: avanti  alla vita. “ Fino all’ultimo giorno, dice con tono fermo, voglio imparare, studiare”. Una passione che non ha mai abbandonato, quella per i libri. Il diploma liceale del resto l’ha ottenuto in otto mesi: “ Non ci vuole molto, minimizza. studiavo in proprio. E studiavo tanto. Mi sono presentata davanti la commissione e ho detto tutto quello che sapevo”.  Quindi, dopo aver sostenuto un brillante corso di laurea alla facoltà di medicina dell’università di Torino , sotto il regime fascista, la Levi Montalcini fu costretta a riparare in Belgio, per sfuggire alle leggi razziali: lei, di famiglia ebrea sefardita, avrebbe rischiamo il campo di concentramento: “ E a Firenze, dove con la mia famiglia  fummo ospitati per un periodo, circolavamo sotto falso nome”. Poi tornata in Piemonte, nella sua casa tra le colline di asti  allestì di nascosto  un laboratorio di fortuna dove, con il suo primo grande maestro, l’istologo Giuseppe levi, iniziò le ricerche sul sistema nervoso negli embrioni di pollo, che dal 49 al 69   la portarono per vent’anni a continuare le ricerche al dipartimento di zoologia della Washington university del Missouri : “ Pensare, sospira la professoressa, che devo proprio a quelli li, Hitler e Mussolini, se ho continuato gli studi. Magari, se non fossi stata spinta dagli eventi, sarei stata semplicemente  una brava ricercatrice, oppure magari  avrei realizzato l’altro mio grande sogno, quello di raggiungere il medico e missionario tedesco albert Schweitzer in Africa, a curare i lebbrosi e   dedicarmi alle donne del terzo mondo, aiutandole a liberarsi dalla schiavitù di padri e mariti.  Sulle donne del continente nero  ho scritto anche un  libro,  Eva era africana e il mio impegno nei loro confronti  continua grazie alla mia fondazione, che in questi anni  ha assegnato dieci  mila borse di studio in favore di giovani e volenterose donne africane. Insomma, nell’ultima tappa della mia vita, realizzo il sogno della mia adolescenza. Di quando mi consideravo una totale nullità”. Rifletto su come sia strana la vita: una grande scienziata che da ragazzina si considerava una nullità. Ci scherzo su: “Allora signora, c’è speranza per tutti”. Lei sorride. Mi guarda, e spezza il sorriso. Spiega: “E’ vero che mi sentivo una nullità.  Mi sono ‘salvata’ grazie all’ottimismo e alla voglia di andare incontro al mondo. A differenza di mia sorella Paola, una grande scultrice, che era chiusa nel suo, di  mondo. Ci compenetravamo, lei ed io. E anche se eravamo diversissime,  è stata la persona più importante della mia vita. Il nostro è stato amore. Amore allo stato  puro”.  Paola se n’è andata nel 2000, il 28 settembre. Insieme con la morte della madre, l’unico momento veramente brutto nella vita della Levi Montalcini: “ le ho tenuto la mano fino all’ultimo, ricorda con sofferenza. E’ spirata davanti a me e quando ha chiuso gli occhi per sempre le ho dato l’ultimo bacio sulla fronte fredda. E’ stato terribile, glielo assicuro. Credevo di non farcela a superare quel momento. Con Paola sento di esser morta anch’io”.

      E’ come se l’acciaio si stesse surriscaldando. La professoressa,  infatti, cede alla commozione. I suoi occhi vivi si inumidiscono. Sospira, reagisce. Riprende a parlare senza più interrompersi: “ Devo  alle mie sei collaboratrici e soprattutto a Giuseppina se ne sono uscita bene. Sono state loro a darmi la forza per andare avanti, per rituffarmi nei miei studi”. La tripodi era una ragazzina , quando conobbe la Montalcini. Aveva 18 anni. Suo cognato lavorava con Paola.  Da 40, da quando cioè la Montalcini si è trasferita a Roma, dopo la lunga esperienza americana, si vedono tutti i giorni: “ E’ la figlia che non ho mai avuto. Ci siamo adottate a vicenda”, dice di lei la professoressa. Tra noi c’è sempre stata sintonia totale, intesa, collaborazione. Ormai viviamo in simbiosi e in tutti questi anni non abbiamo mai litigato. Nemmeno una volta”.

    Del resto con una donna cosi, sarebbe difficile litigare. Quando domando di tracciare un bilancio esistenziale, Rita Levi Montalcini mi guarda quasi con stupore: “ Come vuole che sia, risponde quasi seccata. Sono una donna fortunata, ho avuto tutto, dalla vita. Anche più di quanto meritassi. Ma, ripeto, soprattutto ho  avuto la buona sorte  di non mandare mai il cervello in pensione”. E la morte la spaventa, chiedo? “ Per niente. Potrei andarmene anche domani. In fondo, muore solo il corpo, non i messaggi che dai in vita.  L’importante, insomma,  è lasciare tracce  del proprio viaggio sulla terra. E io con le mie scoperte penso di averne lasciate. Ho vissuto per gli altri e ne  sono felice”. 

     Le otto di sera. Ironizzo: “ Immagino che sia ancora presto per andare a letto, signora. Adesso cosa farà, tornerà in laboratorio per continuare i suoi esperimenti?”. “No, per oggi basta. Mangio  un brodino, poi mi chiudo in camera  ad ascoltare bach, bethoven, Mozart, i miei artisti preferiti. E a leggere un libro. O meglio, a farmelo leggere. Sa, alla mia età la vista si abbassa, meglio non sforzarla troppo”. “ E quante ore dorme a notte?”. Un paio, tre al massimo. Poi torno in laboratorio. Per recuperare mi bastano, come mi basta fare un pasto leggero al giorno”.

      Tutto il resto è lavoro, impegno, passione. “Auguri in anticipo signora  Rita Levi Montalcini.. Mi tolga un’ultima curiosità, prima di darle il bacio sulla fronte che desidero darle dall’inizio dell’intervista: è vero che a Stoccolma quando le consegnarono il premio nobel non si emozionò nemmeno un poco?”.  “No, per niente. Mi chiedevo anzi cosa avessi fatto di cosi importante per meritarmelo”. La  modestia.  Un dono che solo i grandi personaggi hanno.        





( pubblicato il 20 aprile 2009)



Rita Levi-Montalcini


Nella foto, Rita Levi Montalcini


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La redazione di YOUng
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