Alla ricerca della verità in Siria. I dubbi sul conteggio delle vittime
Le informazioni degli ultimi giorni dal territorio siriano ci raccontano ancora di decine e centinaia di morti.
Secondo il Presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, Nassir Abdulaziz al-Nasser, in poco più di un anno lo scontro tra forze governative e ribelli ha causato più di 8.000 vittime, tra le quali in maggioranza civili e in particolare donne e bambini. L’opposizione siriana parla invece di più di 9.000 morti. L’altro ieri, dalle agenzie di stampa di tutto il mondo, è stata diffusa la notizia che nella città di Homs, nella Siria centrale, sono stati ritrovati i corpi di almeno 51 civili. Addirittura sono stati diffusi nel web dei video in cui mostravano i corpi sgozzati ammassati di una decina di bambini. La totalità dei giornali italiani parla di “vittime civili della repressione del regime”, di “strage” e di “carneficina”, di “orribile massacro”, ma raramente precisano chi sia la fonte, chi siano le vittime, come si chiamassero, chi sia stato ad ucciderle e in quali circostanze. Riportare una notizia sulla situazione siriana è oramai diventato un limitarsi a uno squallido e freddo conteggio delle vittime, come se si stesse parlando di numeri che servono a una cinquina o a una tombola. E invece sono persone, morte, con nomi e cognomi.
La giornalista e analista politica esperta di Medio oriente, Sharmine Narwani ha studiato le “liste dei morti” (dei feriti non ne parla) ponendosi varie domande in “Questioning the Syrian ‘Casualty List'”. Premettendo che il governo stesso ha ammesso errori e violenze nei primi mesi della protesta, Narwani si chiede come fanno i vari “attivisti” (dell’opposizione) che sono la fonte dei media e dell’Onu a verificare ogni giorno le morti, nel bel mezzo di un conflitto? Sempre Narwani ricorda che un membro di una squadra libanese di accertamento dei fatti, che investigava sui morti dei manifestanti palestinesi del 15 maggio 2011, colpiti dagli israeliani lungo la frontiera libanese, le disse che ci vollero tre settimane per scoprire che vi furono solo sei morti, e non gli 11, contati il giorno dell’incidente. E in quel caso – a differenza di ciò che accade quotidianamente in Siria – l’intero confronto durò solo poche ore.
E poi i morti, sono stati colpiti deliberatamente? E, si chiede Narwani, “sono tutti civili? E sono civili anti o pro regime? E nelle liste sono compresi i quasi duemila morti delle forze dell’ordine? Poiché nella conta quotidiana ultimamente appaiono due categorie: civili, e forze dell’ordine, dove sono gli uccisi fra gli armati? Vengono forse assimilati ai civili?”
Narwani ha cercato delle risposte a tutte queste domande e lo ha fatto servendosi della fonte che le sembrava più affidabile: l’Ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani (OHCHR). Ma l’organo dell’Onu le comunicò che non poteva fare il controllo dei nomi che vengono forniti dalle fonti. La reporter riuscì comunque ad accedere ad una lista nominativa di “vittime della repressione”, trovando all’interno nomi di noti esponenti pro regime e soprattutto nomi di palestinesi uccisi da Israele sulle alture del Golan il 15 maggio 2011. Vittime che nulla avevano a che fare con il conflitto siriano. E sulla richiesta da parte della Narwani di sapere il numero dei morti, a fine febbraio scorso, l’Onu le rispose che il mese prima avevano smesso di tenere il conto e che il conteggio delle vittime si sarebbe basato principalmente su elenchi forniti da cinque diverse fonti. Tre delle quali erano nominate: Il Centro di Documentazione sulle Violazioni (VDC), l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), e il sito siriano Shuhada. A quel tempo, le liste variavano nel numero da 2.400 a circa 3.800 vittime, ci informa la reporter. 1.400 vittime di differenza, non proprio pochissime. E tra le fonti, quella che sosteneva il più alto numero di decessi è SOHR, guarda caso la lista non-Onu di vittime citata più spesso nei media generali e l’unica riconosciuta da Amnesty International. Per intenderci, quella a cui la Reuters fa maggiore riferimento.
L’altra fonte dei media e dell’Onu sono i comitati di coordinamento locale, i quali riforniscono con le loro cifre il Centro di documentazione sulle violazioni (Vdc). La statistica del Vdc entrata nell’ultimo rapporto dell’Onu, di pochi giorni fa, parla di “6.399 civili e 1.680 disertori uccisi” fra il 15 marzo 2011 e il 15 febbraio 2012. Marinella Correggia, giornalista del Manifesto ed esperta in questione, riguardo a questi dati si chiede: “tutti i membri delle forze di sicurezza uccisi erano disertori? Nessun soldato, per il Vdc, è stato ucciso dall’opposizione armata, tranne quelli passati contro il regime, che verrebbero trucidati dai commilitoni?”
Dubbi sacrosanti, questi sollevati dalla Correggia, visto che il rapporto (occultato dai media) degli osservatori della Lega Araba testimonia che ci sono stati atti di violenza da parte dell’opposizione armata contro civili e militari e che i media hanno esagerato la natura degli incidenti e il numero delle persone uccise in incidenti e proteste in alcune città. E poi, sulle vittime militari, il governo dà ampia pubblicità ai nomi e all’origine dei soldati uccisi trasmettendo in tv i funerali, mentre l’opposizione non fornisce i nomi dei presunti disertori che elenca fra le vittime. A sostenere questo è anche Nir Rosen, un giornalista americano che ha trascorso diversi mesi nei punti caldi della Siria nel 2011, con ampio accesso ai gruppi armati di opposizione, riferendo in una recente intervista ad Al Jazeera: “Ogni giorno l’opposizione dà un numero di vittime, di solito senza alcuna spiegazione sulla causa delle morti. Molti degli uccisi sono infatti combattenti morti dell’opposizione, ma la causa della loro morte viene nascosta e sono descritti nei report come civili innocenti uccisi dalle forze di sicurezza, come se fossero tutti solo a protestare oppure seduti nelle loro case. Naturalmente, queste morti avvengono ancora regolarmente. E, ogni giorno, anche membri dell’esercito siriano, delle agenzie di sicurezza, di indefinibili paramilitari e milizie, conosciuti come shabiha [teppisti] sono uccisi da combattenti anti-regime”.
Riguardo alle identità delle vittime, il portavoce dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR), Rupert Colville ha dichiarato che “le Nazioni Unite non sono in grado di fare un controllo incrociato dei nomi e non saranno mai in grado di farlo.” E sulla decisione di interrompere il conteggio delle vittime a fine gennaio ha aggiunto: “Non è mai stato facile fare una verifica. Prima era un po’ più chiaro, ora invece, la composizione del conflitto è cambiata. E’ diventato molto più complesso, frammentato. Risulta davvero difficile quantificare le vittime”.
E se difficile è quantificare le vittime, altrettanto difficile è riconoscere la composizione delle forze ribelli che combattono contro i lealisti.
Nell’edizione di Sabato 17 Dicembre 2011 del quotidiano monarchico spagnolo Abc, Daniel Irarte, un reporter vicino all’Asl (esercito libero siriano) che ha preso la causa della “rivoluzione” e non trova mai parole abbastanza forti contro il “regime al-Assad”, confida di aver assistito a un episodio che l’ha scioccato: si trovò in un nascondiglio di ribelli con tre libici. Nell’articolo, il giornalista spagnolo fa nomi e cognomi dei tre libici, i quali vengono identificati come appartenenti ad al-Qaida.
Qualche giorno fa, invece, la magistratura francese ha fatto sapere che ha aperto un’indagine su alcuni cittadini francesi di origine algerina, i quali, insieme a marocchini, tunisini ed algerini, starebbero combattendo in Siria, contro l’esercito, inseriti nei ranghi di al-Qaida.
E sul ruolo della Francia in questo conflitto, anche il quotidiano libanese Daily Star (di certo non un giornale vicino ad Assad), citando una non meglio definita fonte di un gruppo palestinese filo-siriano basato a Damasco (la notizia non è rafforzata da nessun’altra fonte però), afferma che tredici ufficiali francesi sarebbero stati catturati dall’esercito siriano e rinchiusi in un carcere nella regione di Homs, perché accusati di collaborare coi ribelli. Tra questi ci sarebbe un colonnello del servizio trasmissioni della DGSE (Direction générale de la sécurité extérieure).
Queste informazioni erano state già parzialmente rivelate il 13 febbraio 2012 da Thierry Meyssan, durante un intervento sul primo canale della Televisione russa, e poi riprese in un articolo pubblicato il giorno successivo sulla «Komsomolskaya Pravda»; infine, in un video di Voltaire Network TV. Nell’armare la rivolta wahhabita e nel fornirle informazioni satellitari, la Francia avrebbe –sempre secondo Meyssan – dunque condotto una guerra segreta contro l’esercito siriano, che ha portato, in dieci mesi di combattimenti, all’uccisione di circa 3.000 militari e oltre 1.500 civili.
Cifre di un conflitto ben diverse da quelle che leggiamo quotidianamente sui nostri giornali. Quale sarà la verità? E la sapremo mai?
Di tutte le cose più sicure, la più certa è il dubbio.